
Il blackout della penisola iberica smaschera la fragilità di un modello fondato sull’intermittenza
“Il più grande difetto della razza umana è la nostra incapacità di comprendere la funzione esponenziale”. Questa riflessione dello scienziato Albert A. Bartlett torna alla mente ogni volta che il sistema progettato per salvarci si rivela incapace di funzionare. È esattamente ciò che è accaduto il 28 aprile 2025, quando la Spagna e il Portogallo si sono trovati improvvisamente al buio. Non si è trattato di un guasto locale: è collassata l’intera rete elettrica della penisola iberica, lasciando al buio oltre 50 milioni di persone, bloccando treni e metropolitane, ospedali e aeroporti, e paralizzando la vita civile in una manciata di secondi.
Secondo i dati ufficiali, la produzione elettrica è crollata di circa 15.000 megawatt in pochi istanti, per la quasi totale improvvisa indisponibilità di fonti rinnovabili, che in quel momento costituivano più del 60 per cento dell’energia disponibile. Le autorità hanno escluso attacchi esterni o fenomeni estremi, attribuendo il blackout a un semplice squilibrio interno della rete. Ma un sistema che funziona come un orologio a cucù e si spegne perché il vento cala o il sole si offusca non è un sistema: è un azzardo tecnico e politico.
La vera questione non è però tecnica, bensì culturale. Per anni la politica energetica europea ha promosso un modello dogmatico, fondato sull’illusione che basti moltiplicare pannelli e pale per ottenere sostenibilità. In Spagna, come in molti altri Paesi, il gas e il nucleare sono stati emarginati in nome della “transizione verde”, e l’equilibrio tra sicurezza, efficienza e affidabilità è stato sacrificato sull’altare della decarbonizzazione. Il blackout non è un incidente: è il risultato coerente di un sistema che ha confuso l’energia con l’ideologia.
Eppure, l’energia elettrica non è un simbolo, ma un bene essenziale. Nessuna società può funzionare se la sua rete si regge su fonti intermittenti, senza riserve, senza stabilizzatori, senza flessibilità. Le batterie non bastano, i software non bastano, i proclami ecologici non bastano. Quando una rete è priva di fondamenta robuste, il primo squilibrio diventa una valanga. L’intermittenza non è un dettaglio da ottimizzare: è un limite strutturale che, se ignorato, porta al collasso.
La reazione politica è stata la solita: promesse di “resilienza”, commissioni d’inchiesta, nuovi investimenti pubblici nello stesso schema che ha prodotto il disastro. Nessuno ha messo in discussione l’impianto ideologico che sorregge la transizione. Né è stata invocata più libertà di scelta, più concorrenza, più apertura tecnologica. Invero, è proprio da lì che bisogna ripartire: da un approccio liberale, che affidi il futuro dell’energia all’intelligenza distribuita, non alla pianificazione centralizzata.
Julian L. Simon, uno degli economisti più acuti del secondo Novecento, ci ha sempre ricordato che la risorsa ultima è l’uomo – uomini dotati di libertà, che esercitano la loro immaginazione e volontà nel proprio interesse, e così inevitabilmente a beneficio degli altri, esprimendo così un principio che vale anche per l’energia: solo la libertà individuale e l’iniziativa privata possono generare soluzioni affidabili, flessibili, efficienti.
Ma c’è anche un secondo aspetto: l’energia moderna non è solo una questione di quantità, ma di qualità. Come ha scritto Alex Epstein: “I benefici dell’avere a disposizione un’energia affidabile ed economica (…) sono enormi. È una questione fondamentale, proprio come il poter disporre di cibo, vestiti, abitazioni e assistenza medica”, che rimanda alla differenza tra energia affidabile e inaffidabile e si risolve in sostanza in quella tra prosperità e povertà, tra vita e morte. Ed è proprio siffatta differenza che il blackout iberico ha reso drammaticamente evidente. Affidarsi a fonti non programmabili senza una rete solida è come costruire un ospedale su una zattera: prima o poi, affonda.
L’elettricità, in definitiva, non è un sogno ecologista, ma una struttura fondamentale della civiltà. Trattarla con leggerezza ideologica significa prepararsi al prossimo collasso. Ma se torneremo a fidarci dell’uomo libero e delle sue capacità – come ci ha esortati lo stesso Simon – sarà possibile costruire un sistema energetico stabile, prospero e soprattutto compatibile con la libertà.
Aggiornato il 05 maggio 2025 alle ore 09:49