La folle corsa del debito

In Italia c’è un treno che corre a folle velocità e sta per schiantarsi contro le rocce di una montagna: è quello del debito pubblico che è ad un soffio dai 3.000 miliardi di euro e le rocce sono quelle degli interessi sul debito che hanno ormai raggiunto la cifra di 100 miliardi di euro. Perché è pericoloso avere un alto debito pubblico? Il primo motivo è quello dei sopra citati interessi sul debito che gonfiano la spesa pubblica e, quindi, richiedono più tassazione o ne impediscono la riduzione, sottraendo risorse ai cittadini. L’Italia ha una pressione fiscale reale (rapporto tra entrate fiscali e Prodotto interno lordo emerso) al 47,4 per cento, il più alto al mondo. Questa elevata tassazione disincentiva l’avvio di una nuova impresa, spinge alla delocalizzazione, impedisce l’accantonamento di utili necessari agli investimenti in sviluppo, ricerca e formazione, per aumentare la produttività del lavoro e, quindi, i salari, fa fuggire migliaia di giovani laureati all’estero: tutte cause della mancanza di crescita del Pil necessario a ridurre il deficit e il debito pubblico.

Il secondo motivo è che si diventa ricattabili dai mercati finanziari che possono così imporre le loro “politiche” al Paese, che in tal modo perde indipendenza decisionale. Se i mercati smettono di acquistare i nostri titoli di Stato perché il debito cresce più del tasso di crescita del Pil, potrebbero imporre correzione dei conti secondo il loro punto di vista ed in tempi stretti: quindi, è molto meglio pianificare dall’interno e autonomamente una progressiva riduzione del debito, piuttosto che farselo imporre da terze parti. Per ridurlo serve tagliare la spesa pubblica, almeno del 10 per cento, nelle seguenti voci:

1) Tax expenditures e bonus che valgono oltre 100 miliardi;

2) Contributi a fondo perduto;

3) Enti inutili;

4) Costo degli acquisti dei beni e servizi della Pubblica Amministrazione;

5) Assistenza e ammortizzatori sociali che vanno razionalizzati (anche separando la previdenza dall’assistenza):ce ne sono troppi, che si sovrappongono e creano iniquità.

È necessario liberare l’economia riducendo drasticamente la tassazione attingendo dalle enormi sacche di spesa pubblica inutile e attuando le riforme a costo zero di sburocratizzazione, delegificazione, deregolamentazione. Il metodo non è quello di agire sulla spesa storica che ogni anno viene ribaltata a quello successivo e eventualmente incrementata, ma adottare il metodo del bilancio a base zero (zero base budgeting) e ridurre la spesa pubblica inutile, inefficiente, improduttiva, sprecona, clientelare. Come funziona?

Ogni anno si prepara il budget come se le cifre dell’anno precedente non fossero mai esistite; ogni ipotesi di spesa deve essere ripensata da zero e quindi giustificata. È un metodo che invita la dirigenza e il Governo a rispondere alla domanda: supponendo di iniziare la nostra attività partendo da zero, su quali attività dovremmo spendere i fondi e a quali dovremmo dare la massima priorità? Alcuni presidenti americani ogni anno hanno preparato i loro budget come se le cifre dell’anno precedente non fossero esistite: ogni ipotesi di spesa doveva essere ripensata da zero e soprattutto giustificata ex novo. Al contrario, oggi, la spesa pubblica italiana sembrerebbe incomprimibile e irrevisionabile, perché si tende a confermare la spesa storica dell’anno precedente e ad incrementarla: si utilizza il metodo del budget tradizionale con il consuntivo (spesa storica) di un anno precedente come base, con ulteriori importi incrementali cioè nuovi capitoli di spesa aggiuntivi per il nuovo anno; ciò incoraggia la spesa fino al bilancio per garantire lo stesso stanziamento di fondi per il periodo seguente e la mentalità “spendi tutto o lo perderai”.

L’unico modo per arrestare lo sperpero è lo zero base budgeting che, ripetiamolo, consiste nell’azzerare ogni anno i costi indicati nel bilancio dello Stato. Ciò evita che costi inseriti nel passato continuino per inerzia ad essere inseriti poiché ad ogni anno finanziario è necessario rivalutare la sostenibilità e la inerenza di ciascun costo che deve essere nuovamente esaminato e approvato. Nel bilancio dello Stato esistono moltissimi sprechi, ad esempio, canoni di locazione assolutamente esorbitanti per edifici non utilizzati che in questo caso verrebbero assoggettati ad un nuovo vaglio e non semplicemente riportati dal bilancio dell’anno finanziario precedente, come avviene ora.

Occorre rispolverare i concetti espressi attraverso la curva di Armey: essa mette in relazione la spesa pubblica e il tasso di crescita del Pil. Che cosa indica? Che a un livello di spesa pubblica zero lo Stato non è in grado di far rispettare l’osservanza dei contratti e la sicurezza dei cittadini, le infrastrutture di base per l’esercizio delle attività delle imprese. Man mano che la spesa pubblica aumenta arriva ad un punto di ottimo in cui la spesa pubblica massimizza la crescita (attorno al 33 per cento del Pil). Oltre questo punto, la spesa pubblica diminuisce la sua utilità e si trasforma in un ostacolo alla crescita, fino ad arrivare a fagocitarla. In Italia il rapporto spesa pubblica/Pil è al 57 per cento circa, cioè molto oltre il punto di ottimo e il più alto al mondo. Dobbiamo fare marcia indietro e tentare di avvicinarci progressivamente al livello del rapporto spesa pubblica Pil del boom economico degli anni Sessanta, circa la metà di quello attuale.

Scriveva Margaret Thatcher: “Quando lo Stato cresce troppo, le persone migliori sentono di contare sempre meno. Lo Stato drena la società, non solo delle sue ricchezze, ma anche delle sue iniziative, delle sue energie, della volontà di migliorare e innovare, oltre che di conservare il meglio”.

Aggiornato il 02 gennaio 2025 alle ore 10:44