Il principio della meritocrazia e i suoi limiti

La nostra società contemporanea sembra essere sempre più centrata sull’esaltazione del merito individuale, dove il successo e la realizzazione personale sono misurati in base ai risultati ottenuti tramite l’impegno e il talento individuale. In questo contesto, la meritocrazia emerge come il principio guida che determina chi merita riconoscimento, ricchezza e opportunità.

Tuttavia, questa enfasi sul merito individuale solleva importanti interrogativi riguardo agli effetti collaterali che essa può avere, anche sulla crescita economica di un Paese, un aspetto che, a prima vista, sembrerebbe essere uno dei benefici principali di un simile sistema. Infatti, sebbene la meritocrazia venga spesso vista come un motore di crescita economica, poiché teoricamente incentiva l’impegno e premia il talento, nella realtà essa può risultare controproducente. Concentrarsi esclusivamente sul merito individuale senza considerare le disuguaglianze strutturali e le opportunità ineguali porta a una allocazione inefficiente delle risorse umane.

Nella realtà in un sistema meritocratico, i talenti potenzialmente più brillanti restano spesso inascoltati o mal sfruttati, penalizzati da barriere economiche o sociali. Questo non solo ostacola il pieno sviluppo del potenziale umano, ma mina anche l’efficienza economica complessiva, riducendo la capacità della società di progredire in modo inclusivo e sostenibile. In definitiva, una meritocrazia che non tenga conto delle disuguaglianze iniziali rischia di limitare la mobilità sociale e di concentrarsi solo su una piccola élite di successo, escludendo una larga parte della popolazione dalle opportunità di crescita, con effetti negativi a lungo termine per l’economia nel suo complesso.

La meritocrazia si basa sull’idea che il successo economico e sociale dipenda direttamente dai talenti, dall’impegno e dagli sforzi individuali. In un sistema ideale, chi possiede le capacità migliori e lavora con maggiore dedizione dovrebbe avere la possibilità di emergere, indipendentemente dalla propria origine sociale, economica o culturale. Questo concetto di giustizia sembra teoricamente ineccepibile, ma la sua applicazione nella realtà è problematica, in quanto non tiene conto delle disuguaglianze di partenza, che giocano un ruolo fondamentale nell’influenzare le opportunità a disposizione di ciascun individuo.

Le disuguaglianze di partenza rappresentano uno degli aspetti più critici della meritocrazia. Le opportunità non sono distribuite in modo equo tra tutti i membri della società. Ad esempio, chi nasce in una famiglia benestante ha accesso a un’istruzione di alta qualità, a reti professionali influenti e a opportunità economiche che facilitano il successo. Al contrario, chi proviene da ambienti svantaggiati spesso si trova a dover superare barriere significative, come l’accesso limitato all’istruzione, scarse opportunità professionali e la mancanza di risorse per investire nel proprio sviluppo. Sebbene un sistema meritocratico pretenda di ignorare queste disuguaglianze, la realtà è che le difficoltà di partenza costituiscono un ostacolo sostanziale per molte persone che, pur possedendo talento e impegno, non riescono ad emergere. Questo porta a una inefficienza allocativa delle risorse, in cui potenziali talenti umani non vengono valorizzati in modo ottimale a causa delle barriere strutturali.

Quando il sistema meritocratico si concentra troppo sulla competizione individuale e sul successo esclusivamente legato ai risultati individuali, emergono conseguenze economiche che distorcono il mercato e la società. In particolare, il sistema finisce per premiare chi parte già da una posizione di vantaggio, amplificando ulteriormente le disuguaglianze. Le persone che partono da ambienti svantaggiati, invece, si trovano penalizzate, e ciò genera una concentrazione di ricchezza e opportunità nelle mani di pochi, mentre una larga parte della popolazione rimane ai margini. In pratica, un sistema meritocratico mal bilanciato non riesce a riconoscere il pieno potenziale di chi, pur dotato di talento, non ha le stesse opportunità di emergere.

Una delle conseguenze più evidenti è la polarizzazione del mercato del lavoro.

Le persone provenienti da famiglie benestanti o con un’educazione di alto livello sono più propense ad accedere a posizioni ben remunerate e prestigiose. Al contrario, coloro che non godono di questi privilegi sono costretti ad accontentarsi di lavori meno remunerativi o precari.

Economisti come Thomas Piketty e Joseph Stiglitz hanno ampiamente documentato come un sistema economico che premia esclusivamente l’individuo possa accentuare le disuguaglianze economiche, portando alla crescente disparità di reddito e ricchezza. Piketty, ad esempio, sostiene che la concentrazione delle opportunità nelle mani di chi è già privilegiato contribuisce significativamente alla polarizzazione del mercato del lavoro.

In un sistema meritocratico esasperato, i guadagni delle persone già ricche o di successo tendono ad amplificarsi, mentre le possibilità di mobilità sociale per coloro che occupano posizioni più basse nella scala sociale diminuiscono. Questo fenomeno genera inefficienza economica, in quanto risorse preziose come i talenti non vengono utilizzate al loro pieno potenziale. Le opportunità sono così mal distribuite che si rischia di non sfruttare l'intero potenziale umano della società.

La meritocrazia, con la sua enfasi sulla competizione individuale, crea un ambiente in cui l’incentivo principale diventa il raggiungimento del successo personale, anziché il miglioramento collettivo della società.

Gary Becker, economista premio Nobel, ha osservato che questa focalizzazione sull’individuo può distorcere gli incentivi. In un contesto altamente competitivo, le persone sono incentivate a massimizzare i propri guadagni individuali, spesso a discapito dell’interesse collettivo e della cooperazione sociale. Ciò porta ad un sistema in cui l’investimento nel miglioramento delle proprie capacità professionali diventa prioritario rispetto ad attività che potrebbero contribuire al benessere collettivo, come il miglioramento della qualità della vita sociale o la partecipazione ad attività comunitarie.

Questa continua pressione per eccellere può avere anche effetti collaterali negativi sul benessere psicologico degli individui. Studi empirici hanno evidenziato che in ambienti altamente competitivi le persone tendono a vivere costantemente sotto stress, con conseguente aumento di ansia, depressione e altri disturbi psicologici. Questo non solo danneggia la salute mentale della forza lavoro, ma abbassa anche la produttività complessiva, creando un circolo vizioso in cui una forza lavoro demotivata e stressata è meno capace di innovare e contribuire all’efficienza economica complessiva.

Un ulteriore effetto distorsivo della meritocrazia riguarda la disincentivazione della cooperazione e della solidarietà, elementi essenziali per il buon funzionamento di una società. In un sistema meritocratico, dove ogni individuo è giudicato principalmente per i propri successi, la competizione diventa il principio dominante. Come evidenziato dallo studioso Robert Putnam, la crescente rivalità tra individui erode il capitale sociale, cioè quella rete di relazioni di fiducia reciproca che è fondamentale per la coesione sociale e per la gestione delle sfide collettive.

L’eccessiva competitività rende difficile il lavoro di squadra e la collaborazione, cruciali per affrontare problemi globali come la lotta contro la povertà o il cambiamento climatico. L’individualismo estremo, stimolato dalla meritocrazia, riduce il desiderio di lavorare insieme per obiettivi comuni e crea una disconnessione tra gli individui. In questo contesto, l’orientamento al successo materiale e professionale, spesso fine a sé stesso, prevale sui valori di solidarietà e uguaglianza sociale.

Inoltre, l’applicazione rigida della meritocrazia, senza tenere conto delle disuguaglianze strutturali, rischia di erodere la coesione sociale. Secondo Amartya Sen, la disuguaglianza non dovrebbe essere misurata solo in termini di reddito, ma anche in relazione alle opportunità e alla capacità degli individui di partecipare attivamente alla vita sociale ed economica. La meritocrazia, non tenendo conto delle differenze iniziali, può escludere parte della popolazione dal pieno esercizio dei diritti sociali e politici, creando una divisione netta tra chi ha successo e chi non riesce a emergere. Il risultato è una polarizzazione sociale, che mina la fiducia tra i cittadini e nelle istituzioni, favorendo una crescente disconnessione tra le diverse classi sociali.

La meritocrazia, sebbene apparentemente giusta, ha impatti economici distorsivi che danneggiano l’efficienza complessiva del sistema economico e sociale. L’eccessiva competitività, favorita da un sistema meritocratico mal bilanciato, amplifica le disuguaglianze, polarizza il mercato del lavoro e riduce la coesione sociale. Le teorie economiche e le evidenze empiriche supportano l'idea che un sistema che premia esclusivamente l’individuo, senza considerare le disparità di partenza e le condizioni strutturali, non solo riduce le opportunità di crescita collettiva, ma provoca inefficienze e danni economici.

È quindi essenziale riequilibrare la meritocrazia, introducendo politiche che promuovano l’uguaglianza delle opportunità e la solidarietà sociale, per garantire una crescita economica sostenibile e inclusiva, in cui il merito venga premiato in un contesto che favorisca il benessere collettivo.

(*) Economista

Aggiornato il 03 dicembre 2024 alle ore 09:23