Espulsioni e inflazione: Krugman dixit

Come vede il Premio Nobel per l’Economia, Paul Krugman, la politica trumpiana delle espulsioni di massa dei migranti irregolari? Malissimo, ovviamente, e lo scrive senza perifrasi sul quotidiano americano più woke che ci sia: il New York Times. Certo, viene l’orticaria a chi non ne può più (ovvero alla stragrande maggioranza degli americani che hanno rieletto Donald Trump) di sentire citare il tempio della stampa del politically correct, ma gli argomenti del grande economista potrebbero rivelarsi profetici. Quindi, tanto vale munirsi del libretto di scongiuri dell’Esorcista ed enumerare i perché, secondo Krugman, la politica delle espulsioni sarebbe strettamente collegata all’aumento dell’inflazione. A quel mostro, cioè, che divora la spesa dell’americano medio e per domare il quale è stato rieletto a furor di popolo l’eccentrico tycoon.

Il punto di forza dell’analisi del Premio Nobel è la spesa al supermercato e il costo degli alloggi, partendo dall’ipotesi che la politica immigratoria di Maga si concluda con successo, sigillando le frontiere con il Messico in modo da bloccare l’invasione dei migranti provenienti dal Sud America. Il tutto, trascurando l’altro enorme costo a spese della finanza federale, rappresentato dalla politica trumpiana di detassazione dei redditi e dei profitti delle grandi imprese che, secondo fonti della Federal reserve bank (l’equivalente americano della Banca d’Italia), produrrebbe un deficit pari a 8 triliardi di dollari nel prossimo decennio. Un nuovo debito pubblico che si sommerebbe agli attuali 35 triliardi (pari al 123 per cento del Pil Usa), impossibile da compensare, per lo stesso periodo, aumentando le entrate con il solo innalzamento di dazi e tariffe sulle importazioni. Sì, è vero: l’America vive a spese del proprio debito pubblico, dato che ha il privilegio di stampare dollari e di vedere sempre acquistati i suoi buoni del Tesoro dai suoi maggiori creditori internazionali, come la Cina di Xi Jinping.

Ma, su questo enorme indebitamento Krugman appare tranquillo, dicendoci che, contrariamente al buon senso, “non sempre l’aumento del deficit pubblico genera inflazione”. E qui, come esempio corroborante, il Premio Nobel cita la crisi dei subprime del 2008 (che depresse quasi tutto l’Occidente, legato a doppio filo con la borsa di Wall Street), evento catastrofico da cui l’America si riprese facendo deficit spending. E tutto ciò senza provocare inflazione, come sempre accade quando un’economia è depressa e necessita di essere risollevata attraverso l’iniezione di una notevole massa monetaria di denarofresco”. Ma anche i trilioni di dollari di sussidi statali stanziati nel 2021 da Joe Biden, per favorire la ripresa post pandemia di un’economia caratterizzata da un crollo dell’occupazione e dei consumi, ha visto il prevedibile rialzo dell’inflazione compensato da un aumento dell’immigrazione.

I nuovi immigrati hanno, infatti, ampliato la base occupazionale e contribuito a far crescere la produttività, a sostegno della forte domanda interna di consumo di beni. Ora, nota Krugman, il punto di partenza di Trump, che si insedierà a gennaio 2025, vede un’economia caratterizzata dal pieno impiego che risentirebbe in modo sostanziale di una politica di espulsioni di massa. Queste ultime, infatti, sono destinate a degradare la capacità produttiva del Paese, in quanto fanno risalire l’inflazione e deprimono i consumi interni. Del resto, se fin da ora i consumatori americani lamentano il forte aumento dei costi dei prodotti alimentari (uova e carne, in particolare), che cosa accadrà quando verranno a mancare milioni di immigrati irregolari impiegati nell’agricoltura e nelle industrie conserviere per il confezionamento dei prodotti alimentari? I migranti rappresentano, infatti, i tre quarti della forza lavoro in agricoltura, di cui almeno la metà è sprovvista di documenti di soggiorno.

Poi, si chiede Krugman, in una retata “milionaria” di irregolari, quanti “regolari” subiranno la stessa sorte per errore o per calcolo? E chi rimpiazzerà questo esercito-ombra di lavoratori, dato il calo clamoroso delle nascite e la mancanza di appetibilità di lavori mal pagati da parte delle giovani generazioni americane che, detto tra parentesi, godono già della piena occupazione? Quindi, per reggersi in piedi, gli operatori del settore agro-alimentare saranno costretti ad aumentare i salari e, di conseguenza, i prezzi all’ingrosso che triplicheranno al dettaglio, alimentando ulteriormente l’inflazione. Tra l’altro, il paradosso è rappresentato da un’America largamente autosufficiente nella produzione alimentare che, però, importa una gran quantità di prodotti agricoli dall’estero, destinati ad aumentare di prezzo a causa della guerra dei dazi e delle tariffe promessa da Trump.

Identico problema si pone, poi, nel comparto delle costruzioni, dato che i migranti irregolari costituiscono non meno di un quinto della forza lavoro nel settore delle costruzioni: fatto che avrà ripercussioni fortemente negative per la costruzione di nuovi alloggi. Così, si chiede retoricamente Krugman, che cosa farà Trump davanti a un ritorno di fiamma dell’inflazione sotto la sua presidenza? Dirà che è un fake? Una cosa però è più che certa: la politica reaganiana promessa solennemente da Trump condurrà di sicuro all’abbassamento delle tasse e a una radicale deregulation, particolarmente apprezzata dall’oligarchia tecnologico-finanziaria americana, alla quale appartengono i principali sponsor della campagna elettorale del nuovo Presidente.

In sintesi, visto il programma di Maga e di Project 2025, è certo che la guerra delle tariffe affosserà il multilateralismo (il che non è necessariamente un male, visti i risultati negativi conseguiti finora) e darà forte impulso al fenomeno globale del protezionismo, a discapito del modello di libero commercio tanto caro a Bruxelles. A questo punto, dato che Trump giocherà il “bilateralismo” degli accordi bi/trilaterali, creando divisioni e scompiglio all’interno dei Paesi della Ue, allora possiamo solo sperare che Giorgia Meloni, l’unica donna forte d’Europa, possa spuntare un trattamento di favore, per quanto ci riguarda.

Aggiornato il 21 novembre 2024 alle ore 10:12