La “Contenomics”, debito alle stelle!

Conoscete la Contenomics? Praticamente, si tratta dell’esatto opposto della Reaganomics, per cui nella ideologia del Movimento Cinque Stelle lo Stato-Provvidenza si sostituisce in toto alla libera iniziativa. Il che potrebbe avere pure un senso, se fossimo liberi di stampare moneta come ci pare e piace, ben sapendo che comunque andremo in bancarotta per iperinflazione e default dei conti pubblici. Invece, la Contenomics grillina ha preteso di fare l’Helicopter money, prendendo a prestito dalla Banca centrale europea e dagli investitori internazionali il denaro da gettare dalla finestra. Un’idea geniale, come si vede.

Prendiamo il discorso sul Superbonus 110 per cento. In teoria, si trattava di favorire la ristrutturazione e l’adeguamento energetico del patrimonio edilizio nazionale esistente, al fine (come si diceva) di rimettere in moto nel post-pandemia l’occupazione e gli investimenti nel mercato dei beni dei servizi collegati al settore delle costruzioni. Il rilevante esborso fiscale da parte dello Stato sarebbe stato compensato, secondo la Contenomics, dal beneficio indiretto della conseguente crescita del Pil negli anni successivi. Tuttavia, come sosteneva il poeta, il “modo (e le modalità con cui si è legiferato sul Superbonus) ancor m’offende”. Nel senso che, proditoriamente, non si è messo a punto un procedimento tecnico-scientifico in grado di stabilire a consuntivo l’entità del rapporto tra quella parte della crescita pluriennale del Pil, dovuta alle ricadute positive del 110 per cento, e le mancate entrate fiscali relative nel periodo pluriennale considerato. Senza tenere conto dell’assenza, dovuta a fretta e a una deliberata incompetenza, di misure idonee ad arginare quanto più possibile le possibili truffe (rivelatesi poi gigantesche) sull’erogazione del Superbonus e a verificare chi ne avesse effettivamente diritto.

Questa storia, per chi scrive, riguarda da vicino la vicenda dei terribili danni inferti ai risparmi delle famiglie italiane all’epoca del change-over lira/euro, stendendo un velo pietoso sul folle rapporto di cambio concordato allora dalle autorità politiche e monetarie italiane. Il primo disastro fu rappresentato dall’abbandono del doppio prezzo a pochi mesi dall’entrata in vigore dell’euro, per cui sulla maggior parte degli stock di magazzino venne applicato di fatto il cambio “mille lire = un euro”. E poiché i prezzi degli immobili (essendo frutto di contrattazione sul libero mercato) non facevano parte del paniere Istat, accadde che un appartamento messo in vendita a quattrocento milioni di lire immediatamente prima del change-over valesse quattrocentomila euro a pochi mesi di distanza dall’avvenuta conversione lira/euro! L’impatto destabilizzante per chi non possedeva immobili e pagava l’affitto, pur avendo da parte quei quattrocento milioni di lire per acquistare l’appartamento in vendita, fu da subito chiaro. In primo luogo, i suoi risparmi convertiti in lire valevano 200mila euro, cioè la “metà” di quanto gli occorreva per l’acquisto della stessa identica casa post change-over. In secondo luogo, per acquistare sempre la “stessa” casa gli si imponeva di indebitarsi per altri 200mila euro, con un rateo “doppio” rispetto al valore di quello precedente calcolato in lire.

L’altro tracollo parallelo fu la conversione esatta degli stipendi calcolati in lire e convertiti al centesimo al cambio di circa 2mila lire per un euro. Ora, se si prende come riferimento il costo in lire di un chilo d’uva all’ottobre del 2000 e lo si compara con quello attuale si riscontrano aumenti dell’800 per cento ricalcolati in lire sugli ultimi 22 anni. E, secondo voi, di quanto sono cresciuti, riconvertiti oggi in lire, gli stipendi di quell’anno Duemila? Calcolate da soli la forbice e vedrete immediatamente di quanto sono stati prosciugati i risparmi degli italiani per un semplice battesimo formale dalla lira all’euro.

Ora, osservando l’argomento dal punto di vista di “chi paga?” per l’enorme debito pubblico accumulato dagli Stati durante la pandemia, la Contenomics rappresenta tutto quanto c’è di sbagliato in chi dice e spera che l’indebitamento pubblico, crescente e inarrestabile, sarà compensato abbondantemente dalla crescita economica conseguente all’attuale meccanismo mortifero del “Deficit spending”. Del resto, rispondono in coro le cicale, come fare a meno dello Stato-Provvidenza in un periodo storico di crescita dell’inflazione e di stagnazione economica? Come si possono alzare le tasse a un popolo che nella sua stragrande maggioranza non ce la fa ad arrivare alla fine del mese? Ancora: chi deve anticipare gli immensi capitali occorrenti alla conversionegreen” dell’industria manifatturiera, della distribuzione di energia elettrica e del trasporto civile? Come si fa a tassare i redditi dei lavoratori più giovani, ben sapendo che si sta per rovesciare il rapporto tra popolazione attiva e quella dei post-65enni? Chi pagherà in un futuro molto prossimo le pensioni del più del 50 percento dei cittadini occidentali?

Terzo aspetto: dal 24 febbraio 2022, con la guerra in Ucraina, sono di colpo cessati i dividendi (economici) della pace a seguito del crollo dell’ex Urss, cosicché oggi gli Stati occidentali si vedono costretti a stornare dal welfare importanti risorse pubbliche per destinarle alla difesa e al riarmo. Sarebbe veramente grave se la Ue restasse sorda al recente richiamo di Mario Draghi di non ripristinare le regole rigide del Fiscal compact, a favore di una unione fiscale e di una politica degli investimenti comune, per la difesa, la conversione green e la rivoluzione digitale. Giustamente, come osserva Draghi, per competere con gli Usa e il suo sistema di aiuti federali alle imprese e ai privati, occorre rendere molto più forte la governance centrale (in materia di fiscalità e di spesa per investimenti) in vista di un ulteriore allargamento a Est dell’Unione. Citando direttamente le parole di Draghi, occorre rilanciare il processo di new governance dell’Europa attuale e allargata, superando “le strategie che hanno assicurato in passato la prosperità in Europa, in base all’equazione che l’America provvedeva alla nostra sicurezza, mentre la Cina faceva da hub per il nostro export e la Russia ci assicurava energia a buon mercato. Tutto questo oggi è divenuto insufficiente, incerto e persino inaccettabile. In questo nuovo mondo, la paralisi che ci contraddistingue è del tutto inaccettabile per i nostri cittadini, mentre si sono nel contempo dimostrate contraddittorie nei risultati le opzioni radicali di uscita dall’Europa. Mettere a punto un’Unione più coesa è l’unica strada per garantire quella sicurezza e prosperità di cui i cittadini europei hanno disperatamente bisogno”.

Domanda, rivolta in particolare a Berlino e Parigi: “Chi ci sta?”.

Aggiornato il 08 settembre 2023 alle ore 13:15