Attualmente, la posizione adottata dall’Unione europea nel documento del “new green deal” prevede un’evidente predilezione per l’impostazione elettrica, tanto negli impieghi stazionari (Fer) quanto in quelli di trazione, poiché ritenuta, a torto o a ragione, la via risolutiva per raggiungere la piena decarbonizzazione dell’economia nel 2050. In quest’ottica è stato prima approvato dalla Commissione il programma Fit for 55 e poi la sua espansione, il REPowerEU, voluto dal Parlamento europeo, forse con accentuato ottimismo. In effetti, secondo quest’ultimo scenario, per l’Italia si prevedono, al 2030, consumi di energia da rinnovabili intorno ai 360 terawattora annui, che richiederebbero oltre 80 gigawatt annui di nuova installazioni Fer, quando, al momento, il picco orario dei consumi in borsa difficilmente supera i 60 gigawatt! Numeri da capogiro, insomma, che non potranno mai essere raggiunti perché non si riuscirebbe a rispettare nessun parametro temporale, tecnico, ed economico.
Il fatto è che la transizione energetica di per sé già complicata e costosa non può essere improntata a colpi di decreti dirigisti che piovono dall’alto di Bruxelles. Tanto che, recentemente, la stessa Corte dei conti europea, è dovuto intervenire per decretare la non perseguibilità relativamente agli impegni sull’idrogeno in quanto: “gli obiettivi di produzione e domanda di idrogeno rinnovabile per il 2030” sono giudicati “eccessivamente ambiziosi” e ora “c’è il rischio che industrie essenziali diventino meno competitive e che si creino nuove dipendenze strategiche”. Non a caso, il Governo italiano, con il rinnovo della Commissione è fortemente intenzionato a rivedere l’approccio monotematico, quasi dogmatico, che si è voluto intraprendere nel settore energetico, puntando tutto e solo sull’elettrico.
Ma c’è una via alternativa per raggiungere la meta della decarbonizzazione senza incorrere nel collasso delle reti elettriche e nella rovina delle finanze? Le possibili soluzioni sono diverse, visto che le situazioni di applicazione sono assai diversificate. Basti pensare alle tante tipologie di consumo che variano dagli impieghi stanziali, come la propria abitazione, un’attività commerciale o un ufficio, a quelli della mobilità su terra, a sua volta assai eterogenea, piuttosto che gli usi ai fini di produzione, come le centrali, ovvero i trasporti via nave o aerei. Il ventaglio della casistica è dunque molto variegato e, probabilmente, si andrà ad adottare, almeno in questa fase della transizione, una soluzione mirata allo specifico utilizzo che si dovrà riparametrare.
In questo articolato processo di riconversione, un importante contributo può venire dall’impiego diffuso del biometano per la mobilità, sia quella leggera e che pesante (veicoli commerciali). Il successo del metano viene da lontano, trattandosi di un’industrializzazione nazionale avviatasi sin dai primi anni Cinquanta con l’Eni, che poi si è sviluppata nei decenni successivi, non solo negli impieghi industriali, ma anche rispondendo ai bisogni delle famiglie, dal riscaldamento alla mobilità. In quest’ultimo campo, da decenni, sono ultra commerciati i rifornimenti Gpl (Gas petrolio liquido) e il metano di origine mineraria. Questa lunga pratica ha portato le aziende italiane specializzate nella componentistica a creare un ambiente tecnologico unico in tutta Europa, molto utile per lo sviluppo del mercato del gas in generale. E infatti, sin dal 2015, l’Autorità per l’energia e l’ambiente, oggi Arera, ha regolato la connessione degli impianti a biometano alla rete di gasdotti nazionale. In seguito, si è andati a disciplinare gli incentivi e ad aggiornare la normativa in risposta agli sviluppi organizzativi e tecnici nel frattempo intercorsi. Si è così raggiunto il più avanzato quadro normativo e organizzativo a livello europeo. Su di esso l’industria italiana del biometano si è andata progressivamente sviluppando, e oggi rappresenta la più riuscita forma di economia circolare, poiché realizza la trasformazione finale degli scarti di altre filiere in un prodotto green utile ad altri settori, in primis quello della mobilità terrestre.
E in effetti, tra le materie prime utilizzate per produrre il prezioso gas, vi è la Forsu (Frazione organica dei rifiuti solidi urbani), che nel 2022 ha coperto quasi i tre quarti della generazione; seguono scarti agricoli e dell’industria agroalimentare per il 13 per cento, deiezioni animali e fanghi di depurazione con il 9 per cento, altri rifiuti organici e sottoprodotti per il restante 6 per cento. Il comparto risulta oggi industrialmente maturo con una produzione nazionale in sensibile crescita, favorita anche dalle incentivazioni statali: se nel 2017 il numero degli impianti in esercizio erano solo sette, a fine giugno 2024 raggiungono i 114 siti produttivi allacciati alla rete. E altri 210 sono gli impianti che hanno richiesto a Snam l’allacciamento alla rete gas e la cui domanda è stata accettata.
Pertanto, la solida realtà industriale e l’articolato mercato del recupero consentono di disporre, sin da subito, di un vettore green complementare a quello elettrico, che facilita il raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di mobilità richiesti da Bruxelles. Infatti, un veicolo alimentato a benzina – ma anche diesel – oppure ibrido elettrico, può essere trasformato a biometano, ora anche con incentivo statale, e usufruire della rete di distribuzione già esistente. Ovviamente l’impiego più immediato e diretto è quello in veicoli già alimentati a metano d’origine fossile, anche perché è possibile utilizzare le medesime infrastrutture di distribuzione. Cosicché già oggi le formulazioni bio stanno gradualmente subentrando al Gnc/Gnl fossile nel trasporto stradale e hanno raggiunto nel 2023 un tasso di sostituzione stimabile almeno nel 50-60 per cento, se si considerano anche gli impianti di biometano entrati in produzione, ma non ancora incentivati.
Per l’Italia, il comparto del biogas costituisce una risorsa straordinaria, con una filiera interamente presente sul territorio nazionale, capace quando andrà a regime di superare 1,2 miliardi di standard metro cubo di gas. Rappresenta perciò un’eccellente risorsa per la competitività di mercato e per la sicurezza del settore energetico, sia per i trasporti che per impieghi stazionari mirati che consente di valorizzare i rifiuti, evitando l’uso di discariche.
L’auspicio, come ha ribadito più volte il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, è che l’Ue riconosca e adotti maggiormente il principio della neutralità tecnologica, ossia l’equiparazione delle varie fonti non inquinanti e delle relative tecnologie di sfruttamento affinché la transizione sia effettivamente praticabile in tutti gli ambiti, che sia economicamente sostenibile e perciò risulti la più democratica possibile.
Aggiornato il 05 novembre 2024 alle ore 12:43