Si era già scritto di alcune storture del sistema fiscale, ma data la proliferazione di articoli sul tema, segno che il dibattito comincia a dare i suoi frutti, occorre indirizzare l’attenzione, di nuovo, ad alcuni indici economici che diventano indici di libertà, che ci identificano sempre più come sudditi di un potere pubblico bramoso di sempre maggiori risorse per garantire coesione e democrazia, ma sembra offrire, invece, solo schiavitù fiscale e tributaria.
Non passa ormai settimana in cui non vengono pubblicati dati sulla ripartizione del carico fiscale sui contribuenti in Italia.
Anche il Corriere titola “Irpef ingiusta, chi guadagna dai 55mila euro in su paga il 42 per cento del gettito fiscale (ecco perché non riceve nulla in cambio)” e ci informa che “l’86,33 per cento di tutte le imposte dirette va a beneficio dei redditi fino 20mila euro e, in parte, dei dichiaranti tra 20 e 29mila euro. Brambilla, presidente del centro studi di Itinerari previdenziali ha dichiarato: Economia sommersa ed evasione incidono sulla quota di chi è a basso reddito”.
Se ne può dedurre una cosa sola: a differenza della narrazione mainstream, appannaggio di una retorica di sinistra che sembra non trovare argine in alcun modo, chi si avvantaggerebbe dall’evasione potrebbe essere quel gran coro di numerosi contribuenti che approfittano di un welfare molto generoso a fronte di una contribuzione minima o addirittura inesistente, e invocano la forca per gli evasori. Ha quindi molto più interesse ad apparire povero o semi povero chi poi beneficia di tanta assistenza, in luogo di chi ha aliquote così alte prive di ritorno di alcun tipo.
Un ulteriore spunto di riflessione ce lo offre lo spot antievasione che dovrebbe a breve essere il protagonista di una campagna di comunicazione istituzionale, che invece vuole rappresentare l’evasore tipo come quello che pasteggia con cibi prelibati pagati dagli altri. Un ladro, in buona sostanza. Ladro perché ruberebbe a chi si aspetta quei soldi per poter vivere.
Non sappiamo quale sia stato l’input del committente per la realizzazione del messaggio di comunicazione, ma i dati, quelli veri, sembrano raccontare un’altra storia. Fatta di welfare e consenso, a scapito di chi paga per gli altri e non conta elettoralmente, e quindi, forse, non va nemmeno a votare.
Ma quanto tempo potrà durare questa “ingiustizia” fiscale in cui una massa di incontrollati ed incontrollabili finti poveri assoluti chiederà ed otterrà misure di sostegno, cavalcate da una politica alla ricerca spasmodica di consenso?
Quanto tempo potrà durare ancora la pretesa della redistribuzione di ricchezza quando pare che la distribuzione più vantaggiosa sia quella della povertà, perché garantisce privilegi e diritti a scapito di una minoranza che però è la maggioranza della popolazione che paga e mantiene il sistema di welfare?
Cosa accadrebbe se improvvisamente quella sparuta minoranza che paga gran parte dell’Irpef sparisse?
Non ci vorrebbe molto. I contribuenti che superano i 100mila euro di reddito sono solo 1,5 per cento del totale (ma versano il 23,59 per cento di tutta l’Irpef), quelli con redditi da 55 a 100mila euro, sono il 3,89 per cento (ma pagano il 18,11 per cento del totale delle imposte).
Forse prima di continuare a tuonare a destra e manca circa l’impossibilità di redistribuire i redditi dei super ricchi, con i super suv, le cene costose, come sentiamo raccontarci ogni giorno, o ci vuol far credere l’agenzia di comunicazione ingaggiata di recente a tal fine, si potrebbe porre l’attenzione a chi resta perennemente sotto una certa soglia di reddito pur di mantenere un vantaggio (e poi convogliano la propria preferenza politica e sindacale verso quelle forze che garantiscono loro tale vantaggio economico e fiscale) rispetto ad altre categorie di lavoratori che non possono mantenere bassi livelli di reddito perché lavorano sodo e danno lavoro, facendo progredire il Paese, e rischiano quindi di pagare per tutti e di non avere indietro niente.
Se la presunta evasione sarebbe di circa 83 miliardi, il welfare dato a tutti i presunti poveri è pari alla gran parte della spesa pubblica, e si calcola in termini di centinaia di miliardi.
Il punto è che maggiore è la somma da destinare a masse di votanti ed aspiranti a misure di welfare, maggiore è il potere politico esercitabile; quindi, anche quel po’ della presunta evasione potrebbe diventare certezza di potere da utilizzare a tutti i livelli per gestire coesione sociale e consenso.
Forse la fine del ceto medio è iniziata da qui, nel considerare ricchi quelli con oltre 35mila euro di redditi su cui far gravare milioni e milioni di posizioni fiscali non tutte genuinamente basse. A breve anche quei 35mila potrebbero diventare 28mila euro di reddito annui, facendo acquisire anche ad altri il diritto di sparare a zero contro l’evasione altrui, dalla comoda trincea della solidarietà politica e sindacale che di questo, facendone un cavallo di battaglia evergreen, foraggia soprattutto la propria sopravvivenza.
Le ipotesi di revisione delle detrazioni previste in legge di bilancio per il 2025, sono un modo forse ritenuto più elegante, per aumentare la tassazione di chi contribuisce di più. Eppure, i dati sono chiari: nei Paesi in cui la tassazione è minore, vi è meno burocrazia e meno Stato ed in generale più libertà economica, vi è la ricchezza pro-capite più alta.
La morale di questa favola amara è allarmante: in questo Paese non conviene eccellere, produrre o innovare. Meglio avere bisogno; lo Stato deve provvedere. Dignità è anche non dipendere dall’altro. Sarebbe meglio saper pescare, ma alcuni preferirebbero un’aringa dello Stato ogni giorno piuttosto che rischiare con la propria canna da pesca.
Se un quinto dei contribuenti dichiara redditi minimi o nulli, rinnega la vulgata, raccontata per decenni dalla politica, ossia che questo sarebbe un grande Paese, ed una grande potenza economica. Una delle più grandi potenze industrializzate non può avere la maggioranza dei propri cittadini nullatenenti, privi di mezzi di sostentamento o quasi. Ci siamo abituati a pensare che abbiamo diritto sempre e comunque di assistenza e assistenzialismo pubblico.
Ricordiamoci che in 10 anni la spesa per il welfare è aumentata del 30 per cento e che la spesa in assistenza è a +126 per cento. Non a caso il pessimo andamento dei conti dell’Inps è iniziato quando sul suo bilancio, oltre alla previdenza, si è deciso di caricare anche la quota assistenziale. E sempre non a caso, in questi giorni, la sinistra è in fibrillazione perché il Ministero della Cultura gestisce, di fatto, il welfare di settori come il cinema, lo spettacolo ed il teatro, e la paura di perdere welfare e quindi consenso, la porta a sbraitare come un naufrago in mezzo al mare in cerca di qualcuno che lo salvi dai marosi.
Per quanto tempo la politica pensa che quella sparuta minoranza di cittadini elettori sulle cui spalle ricade il sostentamento dell’intero sistema fiscale potrà sostenerne il peso?
L’inflazione, una delle tasse più inique in assoluto, ha eroso il 24 per cento del potere d’acquisto in 15 anni, e si continua a pretendere che questa minoranza continui comunque a sostenere sanità, assistenza sociale e servizi per tutti, tanto non vota, e anche se votasse non sarebbe mai quella maggioranza ciacolante e assistita che ottiene e vota, vota e ottiene.
Il recente esito elettorale in Liguria ha dimostrato che potrebbe non essere così per sempre, e che sebbene sia sempre più evidente che vota chi è interessato ad ottenere mentre chi paga forse non ha nemmeno il tempo di andare a votare o comunque ha la piena consapevolezza che il proprio voto non conta al fine di porre argine al prelievo fiscale, alla pesantezza della burocrazia e alla presunzione di colpevolezza in materia tributaria e fiscale, uno spiraglio per la libertà fiscale ed economica potrebbe anche intravedersi. E la speranza si sa, è l’ultima a morire.
Quindi più che investire risorse per stanare i presunti evasori, forse dovremmo impegnarci a far salire quei redditi non redistribuendo le risorse già depauperate dall’inflazione, ma rendendo la creazione di nuove imprese e nuovo lavoro più facile, agile e stabile, senza incorrere in un Leviatano sempre affamato desideroso di costruire il proprio successo e la propria crescita mettendo le mani in tasca ai sudditi.
(*) Leggi il Taccuino liberale #1, #2, #3, #4, #5, #6, #7, #8, #9, #10, #11, #12
Aggiornato il 31 ottobre 2024 alle ore 11:46