Tra le misure di contenimento della spesa da inserire nella legge di bilancio per il 2025-2027 è circolata l’ipotesi dell’abbattimento dell’obbligo di pensionamento di personale pubblico al raggiungimento dell’attuale età pensionabile o della maturazione del periodo contributivo previsto per la quiescenza.
La misura verrebbe introdotta per non disperdere le competenze acquisite e per ritardare il pagamento delle liquidazioni ‒ che nel caso degli alti dirigenti sono anche cospicue ‒ assieme ai loro assegni, dato che si tratta di personale che molto spesso non ha quale sistema pensionistico il contributivo pieno, essendo in servizio da ben prima del 1994, epoca in cui fu introdotto il sistema pensionistico contributivo con la cosiddetta riforma Dini, in luogo di quello retributivo.
Se dal punto di vista squisitamente finanziario (ma di breve periodo perché quello che non paghi oggi lo paghi domani e anche con qualche euro in più di rivalutazione) la misura proposta potrebbe apparire sensata, dal punto di vista organizzativo della macchina burocratica e dell’innovazione un risparmio maggiore si avrebbe invece riformando le strutture ‒ leggasi tagliando, riducendo, accorpando ‒ proprio in occasione dei pensionamenti.
Sarebbe infatti necessario ridisegnare l’elefantiaca macchina burocratica ed immettere risorse umane più giovani, meno costose e portatrici di una cultura amministrativa diversa, più orientata a gestire le sfide da qui al 2050, per le quali servono idee e metodi nuovi.
Le competenze specifiche sono in costante evoluzione e quindi nessuna materia, tecnica, economica o giuridica rimane ferma ed immutabile e nessun sapere è valido per sempre. La paventata perdita delle competenze acquisite andrebbe vista non come un problema, bensì come una opportunità di riforma, snellimento e svecchiamento della Pubblica amministrazione per renderla rispondente alle sfide del terzo millennio, in un contesto globale e non più relegato ai confini nazionali.
Taglio della spesa ed efficientamento della macchina burocratica, sono quindi obiettivi migliori rispetto al mantenimento di certi mandarini nelle loro posizioni, che magari nelle segrete stanze dei gabinetti hanno scritto a loro favore tale ipotesi, volta più a mantenere lo status quo di potere e di rendita, che a ridurre i disastrati conti pubblici. Senza servizio attivo niente incarichi aggiuntivi, niente potere da esercitare, nessuna visibilità o possibilità di servire o servirsi del potere politico per la propria carriera.
Il ministro Giorgetti, che ha proposto la misura, ha già dato prova di essere capace di tali atti di coraggio, di innovare, di invertire la rotta, intervenendo sulla Ragioneria Generale dello Stato, avanti tutta su tutto il resto.
Si può fare davvero la storia (dell’amministrazione) e si può davvero ridurre la spesa e quindi le tasse, ridando libertà ai cittadini di impiegare al meglio le proprie risorse finanziarie.
Maggiore libertà, proprio come ha auspicato anche il Presidente della Repubblica (di cui abbiamo parlato nel precedente taccuino).
Milton Friedman ci ricorda che quello che il governo spende ricade sulle spalle dei cittadini, direttamente sotto forma di tasse o indirettamente sotto forma di debito o inflazione. Potrebbe essere l’occasione questa per iniziare a spendere meno e spendere meglio. Se proprio si deve spendere.
(*) Leggi il Taccuino liberale #1, #2, #3, #4, #5, #6
Aggiornato il 20 settembre 2024 alle ore 11:06