Ieri il Parlamento europeo ha approvato il nuovo Patto di stabilità e crescita. Ma lo votano solo 4 italiani: Herbert Dorfmann e Lara Comi del Ppe, Marco Zullo e Sandro Gozi di Renew. Con quest’ultimo che, tra i banchi del Parlamento europeo, siede nelle fila dei macroniani. Nella votazione si staglia un’assenza importante: quella dell’Italia. Ai partiti, il compromesso raggiunto lo scorso 21 dicembre dai ministri dell’Economia dei 27 non è bastato. Il centrodestra, in blocco, si è astenuto, così come il Pd. Il M5s e i Verdi hanno votato contro. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che a dicembre aveva dato il suo placet alla faticosissima intesa raggiunta sulla spinta franco-tedesca, era stato avvertito della posizione della maggioranza.
Ma certo, dopo il Patto sulla migrazione e asilo, i partiti del centrodestra hanno nuovamente messo per iscritto i propri distinguo rispetto alla posizione dell’esecutivo. “Le forze di Governo hanno sfiduciato Giorgetti”, è stato l’attacco del M5S, con Giuseppe Conte che ha gettato il guanto di sfida alla premier: “Il premio facce di bronzo va a Meloni e soci. In campagna elettorale erano i patrioti, al Governo hanno dato l’ok a questo accordo che danneggia l’Italia”, ha attaccato l’ex premier. “L’astensione del centrodestra è clamorosa, il Governo è stato sconfessato”, ha incalzato il capodelegazione dei dem Brando Benifei. Secondo Carlo Calenda “andava votato dopo le Europee”.
Le nuove regole sono chiamate all’ultima ratifica il 29 aprile, in occasione della riunione dei ministri dell’Agricoltura. E se nessuno si opporrà, saranno realtà. “Il nuovo Patto non è perfetto ma è un buon compromesso”, ha spiegato in Aula il commissario agli Affari Economici Paolo Gentiloni, vedendo, per l’Italia, il bicchiere mezzo pieno: “Ha una doppia sfida, quella di politiche di bilancio prudenti e quella di continuare con investimenti pubblici che aiutino la crescita. E con le attuali regole questa sfida sarebbe forse molto, molto difficile da attuare. Guardando ai dati Eurostat si può avere un’anticipazione della potenziale decisione”. L’Italia, con il 7,4 per cento del deficit appena certificato dall’Eurostat, è ad altissimo rischio. “II Paese continua a far fronte a vulnerabilità legate a debito, deficit e crescita della produttività”, si legge nelle conclusioni degli esami approfonditi della Commissione Ue sugli squilibri macroeconomici dei 27.
Cosa prevede il nuovo Patto di stabilità e crescita
Prevede per i Paesi con un debito superiore al 90 per cento del Pil che debbano ridurlo di un punto percentuale ogni anno. I Paesi con un debito compreso tra il 60 per cento e il 90 per cento dovranno ridurlo dello 0,5 per cento. Gli Stati membri dovranno lasciare un cuscinetto fiscale pari all’1,5 per cento del Pil al di sotto della soglia obbligatoria del 3 per cento. Per costituire questa riserva, l’aggiustamento annuale dovrebbe essere pari allo 0,4 per cento del Pil (in caso di piani di rientro da quattro anni), che potrebbe essere ridotto allo 0,25 per cento del Pil (nei piani di rientro da 7 anni). Le nuove disposizioni sono meno restrittive dell’attuale requisito secondo cui ogni Paese dovrebbe ridurre il debito ogni anno di un ventesimo (5 per cento) dell’eccesso superiore al 60 per cento. Ai Governi sarà consentito deviare dal percorso di spesa netta dello 0,3 per cento del Pil su base annua e dello 0,6 per cento del Pil cumulativamente durante il periodo di monitoraggio. I Paesi saranno in grado di estendere il periodo di aggiustamento da quattro a sette anni utilizzando gli investimenti e le riforme inclusi nei loro Pnrr. Per gli Stati che violano le regole sul deficit e che devono compiere uno sforzo fiscale annuo di mezzo punto di Pil, l’aumento dei pagamenti di interessi sarà escluso dal calcolo nel periodo 2025-27. Rimangono ovviamente le soglie del 3 per cento del Pil per il deficit e del 60 per cento del Pil per il debito. Tutti i Paesi forniranno piani a medio termine entro il 30 settembre che delineeranno i loro obiettivi di spesa e le modalità con cui verranno intrapresi gli investimenti e le riforme. Gli Stati membri con livelli elevati di deficit o debito riceveranno indicazioni pre-piano sugli obiettivi di spesa. Le spese per la difesa saranno considerate un “fattore rilevante” nel calco dei piani di rientro dal deficit. Inoltre – su richiesta del Parlamento europeo – la spesa nazionale per il cofinanziamento dei programmi finanziati dall’Ue sarà esclusa dal calcolo della spesa del Governo.
Aggiornato il 24 aprile 2024 alle ore 11:02