La riduzione dell’imposizione fiscale dev’essere valevole erga omnes (nei confronti di tutti i contribuenti italiani): per un Governo che si richiama ai valori liberali, liberisti e conservatori dovrebbe essere l’imperativo. È di tutta evidenza che un Esecutivo serio di centrodestra, nelle condizioni date, deve misurarsi con la situazione dei conti pubblici che non sono brillanti. Pertanto, deve saper contemperare l’esigenza di mantenere l’equilibrio dei conti pubblici dello Stato con il programma politico di riduzione, nella legislatura, del peso esorbitante del fisco sulle imprese e sulle famiglie. Speravamo sulle competenze tecniche del ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti che aveva affidato le deleghe alla riforma fiscale al professor Maurizio Leo. Purtroppo abbiamo dovuto constatare che, come un qualsiasi Governo di sinistra, l’obiettivo che si prefigge l’Esecutivo non è quello di ridurre le spese e gli sprechi di risorse della Pubblica amministrazione ma quello di aumentare il gettito fiscale. Infatti, il viceministro Leo ha affermato che “dal concordato i fondi per Irpef”, tradotto significa che se i contribuenti che aderiranno al concordato biennale (stabilire ex ante quanto dovranno pagare d’imposte all’Erario) con il fisco dichiareranno maggiori redditi imponibili, l’incremento del gettito fiscale potrà essere destinato a ridurre l’imposta sul reddito delle persone fisiche.
Non era questo che la coalizione di centrodestra aveva indicato nel programma elettorale per le Politiche. Avremmo sperato in un approccio più pragmatico dell’Esecutivo sul tema annoso del “magazzino fiscale” che, dati riportati dal direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini, ha raggiunto la cifra record, sulla carta, di 1.206 miliardi di euro. Praticamente oltre il 40 per cento del debito pubblico italiano. Tutti sanno, e lo ha ancora una volta ribadito il direttore dell’Agenzia delle Entrate, che dei 1.206 miliardi di euro sono recuperabili intorno al 8 per cento del magazzino fiscale ovvero 96 miliardi di euro circa. Sarebbe opportuno, piuttosto che lo stillicidio delle varie rottamazioni che si sono susseguite, una vera pace fiscale tombale che permetterebbe alle imprese e alle persone fisiche di definire una volta per tutte la loro esposizione con l’Erario. In Italia, ebbe il coraggio politico di fare il condono tombale l’allora ministro del Tesoro il professor Giulio Tremonti il quale, consapevole dell’impossibilità oggettiva di recuperare i crediti fiscali inesigibili, consentì ai contribuenti italiani di saldare il loro debito con l’Erario applicando coefficienti di pagamento compatibili con quanto realmente il fisco avrebbe potuto recuperare. È ipocrita continuare con le cosiddette rottamazioni per invogliare i contribuenti a pagare le imposte che non sono stati in grado di pagare. Meglio, cento volte meglio, anche grazie alla riforma fiscale in itinere, fare un nuovo condono tombale che consenta rapidamente allo Stato di recuperare quel 8 per cento di crediti fiscali che sono realmente recuperabili. Tra l’altro, è ampiamente dimostrato che i condoni fiscali che consentono maggiori entrate tributarie per lo Stato non hanno effetti recessivi in quanto per i contribuenti sono considerati oneri una tantum.
Aggiornato il 06 febbraio 2024 alle ore 11:32