Il sorpasso. È quanto accaduto nel Sud del Paese, dove ci sono più pensionati che lavoratori. Il dato è fornito dalla Cgia di Mestre. Secondo la rilevazione, in Italia i pensionati ammontano a 22 milioni 772mila e i lavoratori sono 23 milioni 99mila. Eppure, nel Mezzogiorno troviamo 7 milioni 209mila pensioni pagate, contro 6 milioni 115mila addetti. Quali sono i motivi? Denatalità, l’invecchiamento della popolazione e la presenza dei lavoratori irregolari.
Allargando lo sguardo, a livello provinciale nel 2022 la realtà territoriale più virtuosa, come indicato dalla Cgia, è Milano (con un saldo “dato dalla differenza tra il numero delle pensioni e gli occupati uguale a +342mila”). Poi troviamo Roma (+326mila), Brescia (+107mila), Bergamo (+90mila), Bolzano (+87mila), Verona (+86mila) e Firenze (+77mila). Male al Sud: Cagliari (+10mila) e Ragusa (+9mila) hanno un saldo positivo. “Le situazioni più squilibrate, invece, riguardano Palermo (-74mila), Reggio Calabria (-85mila), Messina (-87mila), Napoli (-92mila) e Lecce (-97mila)”.
Per la Cgia di Mestre “con sempre meno giovani e sempre più pensionati il trend può essere invertito in tempi medio-lunghi solo allargando la base occupazionale”. In che modo? Facendo emergere la fetta dei lavoratori “invisibili” presenti nel Belpaese. Ossia, coloro che svolgono “un’attività in nero: secondo l’Istat, ammontano a circa 3 milioni di persone”. Inoltre, è necessario “incentivare ulteriormente l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, visto che siamo fanalino di coda in Europa per il tasso di occupazione femminile (pari al 50 per cento circa)”. Tra l’altro, serve rafforzare “le politiche che incentivano la crescita demografica (aiuti alle giovani mamme, alle famiglie, ai minori) e allungare la vita lavorativa delle persone (almeno delle persone che svolgono un’attività impiegatizia o intellettuale)”. Con una postilla: “È necessario innalzare il livello di istruzione della forza lavoro che in Italia è ancora tra i più bassi di tutta l’Ue. Se non faremo tutto ciò in tempi relativamente brevi, fra qualche decennio la sanità e la previdenza rischiano di implodere”.
Infine, la Cgia di Mestre spiega: “Un Paese che registra una popolazione sempre più anziana potrebbe avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici; in particolar modo a causa dell’aumento della spesa sanitaria, pensionistica, farmaceutica e di assistenza alle persone. Va altresì segnalato che con una presenza di over 65 molto diffusa – termina – alcuni importanti settori economici potrebbero subire dei contraccolpi negativi. Con una propensione alla spesa molto più contenuta della popolazione giovane, una società costituita prevalentemente da anziani rischia di ridimensionare il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo (HoReCa). Per contro, invece, le banche potrebbero contare su alcuni effetti positivi; con una maggiore predisposizione al risparmio, le persone più anziane dovrebbero aumentare la dimensione economica dei propri depositi, facendo così felici molti istituti di credito”.
Aggiornato il 22 novembre 2023 alle ore 16:31