Molti di voi se ne saranno certamente accorti: siamo nel bel mezzo del periodo di pagamento delle imposte. Il 30 giugno, per coloro che non sono soggetti agli Isa (Indici sintetici di affidabilità), e il prossimo 20 luglio, per coloro che sono soggetti agli Isa, scadono i termini entro cui i contribuenti italiani sono chiamati al versamento delle imposte senza maggiorazioni.
Chi possiede una partita Iva già da tempo, arriva preparato a tali scadenze ma per alcuni questa data si trasforma in un vero e proprio incubo. È il caso di Giovanni, nome di fantasia, che a gennaio dello scorso anno ha deciso di iniziare un’attività di commercio al dettaglio; ha avuto la fortuna di conseguire un ottimo fatturato e ha realizzato un utile di 60mila euro che pensa di poter replicare negli anni successivi.
Giovanni, nel 2022, si è iscritto alla gestione commercianti dell’Inps e ha già versato a oggi i contributi sul minimale per il 2022 e la prima rata relativa al 2023 per un totale di 5.049 euro. Quando si reca dal suo commercialista per sapere quanto dovrà pagare allo Stato sulla base della sua dichiarazione dei redditi, il benestante Giovanni non può fare altro che sentirsi improvvisamente povero. Infatti, entro il prossimo 20 luglio, Giovanni dovrà versare quanto segue (vedi qui).
Se a questo importo aggiungiamo le rate Inps che Giovanni ha versato sul minimale dall’inizio della sua attività a oggi, raggiungiamo l’importo di euro 51.629! Giovanni, entro il 20 luglio, avrà versato allo Stato l’86 per cento di quanto ha guadagnato lo scorso anno.
Ora, supponiamo che Giovanni realizzi i suoi guadagni in maniera costante durante l’anno e che quindi ogni mese possa contare su un utile di 5mila euro. Dal gennaio 2022 al luglio del 2023, in 19 mesi, Giovanni ha guadagnato 95mila euro ma ha dovuto pagare 50.629 euro. Al netto di tasse e contributi, le sue finanze ammontano a 44.371 euro. Se Giovanni non è stato attento a spendere meno del 50 per cento di quanto ha guadagnato, non sarà in grado di pagare interamente le sue tasse.
Sempre in base alla dichiarazione dei redditi, il commercialista consegna a Giovanni anche l’F24 dei secondi acconti da pagare il 30 novembre. L’importo che il nostro commerciante dovrà pagare è pari complessivamente a 14.591 euro e, precisamente, 9.350 euro di acconto Irpef e 5.241 euro di acconto Inps. Complessivamente, Giovanni dovrà versare allo Stato nel 2023, tra imposte e contributi, la somma di 67.466 euro pari al 124 per cento del guadagno 2022! In questo esempio, che risponde fedelmente alla realtà, Giovanni deve pagare un esborso così alto anche a causa degli acconti sul 2023.
L’introduzione di percentuali di acconto crescenti a partire dal primo anno agevolerebbe il pagamento delle imposte, senza intaccare le entrate complessive dello Stato. Invece, i contribuenti sono tenuti a pagare, sin dal primo esercizio, un acconto pari al 100 per cento delle imposte e contributi con un effetto per le finanze personali a dir poco insostenibile.
Ben venga la volontà di rivedere il sistema degli acconti, annunciata a proposito della legge delega della riforma fiscale che dovrebbe approdare alla Camera il prossimo 10 luglio. Finora, però, si parla solo della possibilità di rateizzare anche il secondo acconto di novembre ma non di ridurre la misura stessa degli acconti.
Aggiornato il 06 luglio 2023 alle ore 17:19