Se chiudi la stalla quando i buoi sono scappati, poi ti tocca andare a recuperarli per i campi. È un po’ quello che sta succedendo alle banche centrali. Per contrastare la crisi finanziaria prima, gli effetti della pandemia dopo, hanno inondato il mondo di liquidità, come non ci fosse un domani. Quando il domani è arrivato, e si sono cominciati a vedere gli effetti dell’espansione monetaria sui prezzi – ben prima dello shock energetico – hanno definito il fenomeno transitorio, rinunciando a correggere le proprie politiche espansive. Quando i prezzi hanno continuato ad accelerare, hanno imputato la cosa alla guerra in Ucraina. Hanno messo sotto accusa le politiche di bilancio iper-espansive, come non fosse stata la loro decisione di mantenere i tassi d’interesse in territorio negativo ad aver generato un gigantesco incentivo per i governi ad accrescere deficit e debito. Poi hanno scommesso che bastasse un rialzo contenuto dei tassi, e un timido rientro dalle politiche monetarie “non convenzionali”, per riportare l’inflazione sotto controllo.
Non sono state in grado di comprendere come i limiti di diritto e di fatto che venivano via via frapposti al libero movimento delle merci, delle persone e dei capitali indebolivano quella globalizzazione che era stata il principale fattore di contenimento dei prezzi per un ventennio. Hanno formulato previsioni ottimistiche sulla dinamica dei prezzi, salvo poi correggerle ogni volta al rialzo. Hanno provato a dare la colpa del tutto a una spirale prezzi-salari, che nessuno ha visto. Siamo al punto in cui furoreggia la greedy-inflation, cioè la teoria piuttosto ardita secondo la quale l’inflazione sarebbe colpa dell’avidità delle imprese, che accrescono troppo i propri profitti. Come non fosse precisamente nella natura delle imprese praticare i prezzi che, nelle condizioni date, massimizzano i loro profitti. E come se le banche centrali non avessero un ruolo decisivo nel definire quelle “condizioni date”.
Ora le banche centrali non hanno alternativa: se vogliono riportare sotto controllo la dinamica dei prezzi, dovranno continuare ad innalzare i tassi d’interesse. Che dovranno giungere a un livello certamente più elevato di quello che sarebbe stato sufficiente se la reazione fosse stata più tempestiva. Con quel che ne consegue sul terreno del livello del prodotto e dell’occupazione. Per dirla con Cicerone, Sero sapiunt Phryges, troppo tardi i Frigi divennero saggi. E non si può riavvolgere il nastro della storia.
(*) Membro del Comitato di indirizzo dell’Istituto Bruno Leoni
Aggiornato il 03 luglio 2023 alle ore 10:09