Sebbene l’articolo 109 del Codice della crisi e dell’insolvenza preveda che il concordato preventivo in continuità aziendale venga approvato quando esso sia votato in modo favorevole da tutte le classi dei singoli ceti creditori, come stabilito al quinto comma e, a condizione che esso sia votato positivamente dalla maggioranza dei crediti in ciascuna classe creditoria, il legislatore ha previsto un sistema secondo il quale l’adesione della singola classe può anche prescindere dal voto favorevole della maggioranza dei crediti in essa presenti.
In sostanza, quanto sopra esposto significa che, se non vi è la maggioranza in tutte le classi, la proposta sarà comunque approvata “se hanno votato favorevolmente i due terzi dei crediti dei creditori votanti, purché abbiano votato i creditori titolari di almeno la metà del totale dei crediti della medesima classe”, questo è ciò che afferma l’articolo 109, comma 5, al primo periodo, del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (nel prosieguo, anche Ccii). Qualora il debitore non ottenesse l’approvazione della sua proposta, potrebbe comunque ottenere la sua omologazione, se riuscisse a dimostrare che ricorrono i presupposti sanciti nell’articolo 112, comma 2, del Ccii.
Invero, con l’applicazione di un criterio discretivo che distingue il concordato liquidatorio da quello in continuità aziendale, l’articolo 112, comma 2, prevede, appunto, che nel concordato preventivo in continuità aziendale il tribunale possa omologare la proposta presentata dal debitore e su richiesta dello stesso, anche quando ci sono una o più classi contrarie, ma solamente se ricorrono insieme i seguenti presupposti:
a) il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione;
b) il valore eccedente quello di liquidazione è distribuito in modo tale che i crediti inclusi nelle classi dissenzienti ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore, fermo restando quanto previsto dall'articolo 84, comma 7;
c) nessun creditore riceve più dell’importo del proprio credito;
d) la proposta è approvata dalla maggioranza delle classi, purché almeno una sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione, oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe di creditori che sarebbero almeno parzialmente soddisfatti rispettando la graduazione delle cause legittime di prelazione anche sul valore eccedente quello di liquidazione.
Questa impostazione trova la sua fonte di origine nell’articolo 11 della Direttiva Insolvency, la quale prevede la ristrutturazione trasversale dei debiti, che impone l’accettazione di essa anche alle classi dei creditori che hanno respinto la proposta, non approvandola con il proprio voto. Quindi, il piano verrebbe in tal modo omologato grazie alla forzatura dell’autorità giudiziaria, tenendo conto della presenza dei quattro presupposti suindicati, essenziali per consentire l’omologa ex lege.
In riferimento a quanto finora esposto, il Tribunale di Bergamo ha emesso la sentenza dell’11 aprile del 2023, con la quale ha dipanato qualsiasi dubbio di interpretazione riguardo all’applicazione della lettera D della disposizione dell’articolo 112 del Ccii. Nel merito, il suddetto Tribunale ha fornito una argomentazione chiara e ben delineata su come interpretare il significato di quanto previsto dalla norma in oggetto, confrontandola con ciò che è previsto nel sistema concorsuale dell’Unione europea.
Nel caso di specie, il debitore aveva presentato un ricorso (ex articoli 40 e 84 del Ccii), affinché venisse ammesso alla procedura di concordato preventivo ed il Tribunale aveva dichiarato l’apertura della procedura in questione. Dopo che il commissario giudiziale aveva comunicato l’esito negativo del voto dei creditori riguardo all’approvazione della proposta di concordato preventivo, con un voto favorevole limitato solamente a tre classi del ceto creditorio, il debitore presentava un’istanza ex articolo 112, comma 2 del Ccii, con lo scopo di ottenere comunque l’omologazione, nonostante la mancata approvazione della maggioranza delle classi creditorie. Il Tribunale, interrogandosi sulla locuzione “in mancanza” presente alla lettera D del secondo comma dell’articolo 112 del Ccii e richiamando l’articolo 11 della Direttiva Insolvency, ha analizzato semanticamente l’utilizzo della punteggiatura utilizzata prima della suddetta locuzione, riferendosi in particolare al punto e alla virgola che la precedono.
Grazie a tale analisi, i Giudici di merito sono arrivati alla conclusione che “secondo il canone ermeneutico della interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea, anche l’articolo 112, comma 2, lettera D del Ccii va interpretato nel senso che la proposta di concordato è approvata dalla “maggioranza delle classi” [...] oppure, in mancanza, la proposta è approvata da almeno una classe [...]”.
La ratio dell’articolo 112, comma 2 del Ccii si basa sul principio di favorire la continuità aziendale, in quanto essa è funzionale a reinserire l’impresa, in stato di crisi, nel mercato in modo operativo, anche e soprattutto per salvaguardare i dipendenti che per essa lavorano e quindi di conseguenza funzionale a tutelare il Pil nazionale. Perciò, interverrebbe l’autorità giudiziaria approvandone l’omologazione, ma perché ciò sia possibile “occorre, quale requisito minimo, quello della approvazione della proposta da parte di almeno una classe di creditori privilegiati, che sia per così dire “maltrattata” nella proposta concordataria e pur tuttavia sia fiduciosa nella bontà della proposta di “rilancio” dell’impresa”.
In finale, perché ci sia la succitata omologazione deve votare in modo favorevole almeno una classe di creditori che subirebbero un pregiudizio in ambito concordatario e non classi di creditori che al contrario risulterebbero avvantaggiati nell’ipotesi di concordato preventivo rispetto a quella della liquidazione.
Il Tribunale, tenendo conto di tutto ciò, nel caso di specie, non ha approvato l’omologazione evidenziando che “le classi di creditori che hanno votato favorevolmente non sono quelle che subirebbero un pregiudizio in ambito concordatario, ma, al contrario, sono classi che sarebbero trattate più favorevolmente nell’ipotesi concordataria rispetto a quella liquidatoria”.
Al postutto, la lettera D del secondo comma dell’articolo 112 del Ccii, costituisce la chiave di lettura di questa “rivoluzionaria” interpretazione del concordato preventivo in continuità aziendale, in quanto disciplina due ipotesi alternative.
La prima ipotesi prevede che per ottenere l’omologazione, forzata da parte del Tribunale, del concordato preventivo in continuità aziendale non sia necessaria l’unanimità delle classi, ma occorre semplicemente ottenere la maggioranza delle stesse, ma solamente se almeno una delle classi favorevoli sia formata da creditori titolari di diritti di prelazione.
Invece, la seconda ipotesi prevede una condizione alternativa alla prima, riassumibile nella locuzione “in mancanza” dell’ipotesi sopra esposta, in cui occorre il voto favorevole di almeno una classe di creditori che sarebbero stati soddisfatti nel rispetto delle cause legittime di prelazione anche sul valore che eccede quello della liquidazione.
Aggiornato il 26 maggio 2023 alle ore 16:02