Voglio prima fare una premessa: dal 2014 in poi, cioè dal ministro Graziano Delrio, il rapporto tra l’Ance (Associazione nazionale costruttori edili) ed il ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti – e in genere del Governo – è stato altalenante: momenti di grande apprezzamento per provvedimenti e per impegni ritenuti, sempre dall’Ance, di grande rilievo strategico e momenti di forte critica per azioni e impegni non mantenuti. Ricordo sempre, solo a titolo di esempio, l’impegno assunto dalla ministra Paola De Micheli sull’approvazione del nuovo Codice degli appalti: entro il 2019. E questo comportamento lo si è vissuto più volte anche con il famoso provvedimento relativo al Superbonus del 110 per cento sulle spese sostenute per chi effettua interventi di isolamento termico, un provvedimento sicuramente interessante e utile per l’attivazione della spesa e per il supporto di un comparto, quello delle costruzioni, in forte crisi. Ma un provvedimento che poi si è rivelato ricco di passaggi critici e davvero rischiosi proprio per le stesse imprese.
Ebbene, ultimamente con l’aumento dei prezzi delle materie prime si è riacceso il comportamento critico nei confronti del Governo, dimenticando che solo pochi mesi fa era stato riconosciuto al ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili un grande impegno e una grande attenzione risolutiva alle emergenze del settore attraverso il trasferimento di ingenti risorse per la realizzazione di infrastrutture del Pnrr, del Pnc (Piano nazionale complementare) e dei vari contratti di programma delle Ferrovie dello Stato e dell’Anas, e anche per il sollecito intervento del Governo, con vari Decreti Legge, mirati al superamento della forte crescita dei prezzi dei materiali da costruzione.
Poi, nel rispetto del tradizionale modello altalenante, pochi giorni fa l’Ance ha reso noto un dato: l’entità dei lavori pubblici in corso produce un flusso annuale dei pagamenti di circa 33 miliardi e l’impatto provocato sulle imprese dagli extra-costi prodotti dall’aumento delle materie prime è di 5 miliardi di euro. L’Ance ha dichiarato: “Le misure rimangano in gran parte sulla carta ed hanno tempi di attuazione troppo lunghi rispetto alla emergenza. La percentuale delle imprese che hanno ricevuto il pagamento delle somme anticipate è irrisoria ed è utile ricordare che queste anticipazioni sono state effettuate dalle imprese per non bloccare i lavori. La situazione – precisa l’Ance – sta diventando insostenibile finanziariamente ed economicamente per le imprese che, a oggi, non hanno nessuna certezza di vedere effettivamente ristorate un giorno le spese già sostenute da tempo, in molti casi più di un anno fa”.
Ma se entriamo nel merito scopriamo che:
– il pagamento dei rimborsi arrivano dopo 18 mesi;
– molte stazioni appaltanti richiedono con molto ritardo i fondi compensativi per la complessità delle procedure;
– la copertura molto parziale delle compensazioni definite dalle rilevazioni del ministero delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili rispetto alla reale entità degli extra-costi ha generato un diffuso contenzioso che ha già ha visto il Tar del Lazio dare ragione alle imprese.
Insomma, le compensazioni arrivano tardi, spesso non arrivano e coprono solo una parte delle spese sostenute. Dobbiamo sempre ricordare che il mancato avvio di investimenti in conto capitale nel periodo 2014-2020, causato da una precisa volontà dei Governi che si sono succeduti in tale periodo per garantire la copertura annuale per circa 30-40 miliardi per l’aumento dei salari bassi, per il reddito di cittadinanza e per quota 100, ha prodotto una drammatica crisi nell’intero comparto: 120mila imprese fallite e 600mila posti di lavoro del comparto edile persi; cioè dobbiamo sempre ricordare che fino al 2014 il settore delle costruzioni partecipava alla formazione del Pil per oltre il 20 per cento ed era sceso a soglie di poco superiori al 6 per cento per risalire solo ultimamente con il bonus 110 per cento all’8 per cento. Dobbiamo cioè evitare che il confronto tra l’Associazione rappresentativa di questo motore della economia del Paese viva di fasi alterne e di altalene spesso umorali. Invece, occorre che l’Ance sperimenti un nuovo confronto con il nuovo Governo, non più legato a impegni ampiamente motivati e certi nell’enunciazione normativa e procedurale ma privi, poi, nel tempo di reale applicazione e concretezza.
Il comparto delle costruzioni non può in nessun modo essere legato alla logica degli annunci o a quella delle leggi incomplete, perché operative solo a valle dei cosiddetti decreti attuativi. Si dimentica che un’impresa, impegnata nella realizzazione di un’opera, vive solo se esiste una correlazione certe tra avanzamento lavori e pagamento degli Stati avanzamento lavori (Sal). La mancata correlazione produce, inizialmente, una sofferenza sostanziale nella vita della impresa e, in tempi brevissimi, il default della stessa iniziativa imprenditoriale. Quindi, un decreto legge che attraverso il decreto attuativo diventa operativo dopo otto, dieci, dodici mesi è, a tutti gli effetti, un motore di incertezze ed un reale fautore di crisi irreversibili.
Analogo comportamento l’Ance dovrà assumere nei confronti di un provvedimento come il Codice degli appalti. È vero che una serie di disposizioni prese dal 2016 a oggi hanno reso sempre più inutile e dannoso un Codice voluto dall’ex ministro Delrio, ma non riuscire a produrre in sei mesi un nuovo codice e aspettare ancora un anno per poterlo approvare definitivamente testimonia una incapacità, senza dubbio, della squadra di Governo, ma anche di una sottovalutazione del fattore tempo da parte della stessa Ance.
(*) Tratto dalle Stanze di Ercole
Aggiornato il 20 ottobre 2022 alle ore 12:10