Questo non è un articolo per la pagina degli Esteri: scenari simili potrebbero arrivare tra poco anche in Italia. Quando entrerà in azione – se ripeterà i suoi errori passati – è disposta fare come Sansone: massacrare l’economia nazionale, pur di liberarsi del Governo che tra breve avrà l’onere di gestire l’Italia.
Parliamo di una situazione tipica, il doppio errore che blocca le democrazie occidentali da tempo. Da un lato c’è la globalizzazione con le sue aziende extranazionali e monopoliste: un neo-capitalismo che si contrappone al post-capitalismo delle idee e del libero mercato. Parliamo dei rincari del prezzo dell’energia. In Francia, visto che le centrali nucleari stabilizzano il costo dell’energia elettrica, il problema invece è la mancanza di benzina a causa di uno sciopero a oltranza nelle raffinerie francesi. Soffre tutta la popolazione a Parigi (tre ore di fila dal benzinaio), dove comunque c’è il metrò. Soffre ancora di più la popolazione dei dipartimenti di campagna e montagna, dove l’auto privata è indispensabile. Un terzo dei distributori di benzina è a secco.
Veniamo al primo dei due errori: Exxon-Mobil ha totalizzato 17,9 miliardi di dollari di ricavo netto in tre mesi. Total invece ha ricavato 10, 9 miliardi nei primi sei mesi del 2022. Decisamente troppo, con l’evidenza di un eccesso di best pricing. Visto che si parla della dinamica Stato-mercato sulla regolazione dei prezzi, converrà ricordare che il “price cap” di cui tanto si parla è un meccanismo di controllo anti-inflazione, che però andrebbe fissato all’inizio di un contratto, non quando questo è già in essere. Quindi, il miglior modo per abbassare il prezzo dell’energia non è il price cap, e non lo sono le misure europee condivise di sostegno, che saranno applicate (tutto a debito futuro). L’unica strada è quella di dotarsi di una autonomia con un mix che includa centrali nucleari, rinnovabili soprattutto eoliche e l’utilizzo dei propri giacimenti su terra e offshore, come indica Chicco Testa (uno dei pochi ambientalisti pro ambiente).
Qual è il secondo errore commesso in Francia e che potremmo rivedere anche in Italia? La Francia è corporativa quanto noi: se Exxon-Mobil e Total guadagnano tantissimo (anche Eni, che peraltro è statale e i cui utili servono in parte a pagare stipendi, pensioni e sanità), allora i lavoratori Total ed ExxonMobil vogliono una fetta della “loro” torta, fanno sciopero a oltranza, chiedono aumenti del 10 per cento. Il problema è che – bloccando la nazione – creano un danno economico allo Stato. Per giunta, tutti i francesi sono quasi senza benzina. Cosa si deduce? Che il cattivo sindacalismo nell’Europa continentale è un “fascio” di corporazioni e non è solidale con gli altri lavoratori. Una volta, ciò era tollerato ma non più oggi, con un’economia personale e collettiva sul filo del rasoio.
Vanno rivisti i rapporti sociali. Siamo in una società liquida e quantistica, in cui una particella elementare è connessa con un’altra, anche a distanza. Non viviamo più in un mondo newtoniano dove tutto è un rapporto di forze opposte. Insistere nella cultura dello scontro è la cifra di una sinistra che nega ciò che essa stessa predica. Una cultura egocentrica illustrata dal comportamento antitetico e schizofrenico del ministro Andrea Orlando, il quale giorni fa ha sfilato con la Cgil di Maurizio Landini in un corteo contro le politiche del lavoro fatte, condivise e approvate dallo stesso Orlando. Il leader della sinistra del Partito Democratico protestava contro se stesso? Ha battuto Giuseppe Conte, che è passato in un lampo dal Governo con Matteo Salvini a quello col Pd. Il sindacalismo quantistico deve superare il vecchiume che avanza (di nuovo). Se vogliamo prendere strade diverse da quella mefitica del rapporto privilegiato tra un partito e i “suoi” elettori di riferimento, dovremmo ascoltare la voce di chi – come Sabino Cassese – raccomanda che i grandi “consiglieri ministeriali” non siano presi ad mentulam canis e nemmeno con criteri nepotistici.
Torniamo in Francia. Il movimento dei gilet gialli si formò quando arrivò un aumento del prezzo della benzina. Oggi, quando cinque raffinerie sono ferme da dieci giorni, il Governo francese comincia appena a muoversi (una democrazia richiede velocità nelle policy, non lumacherie). Si parla di precettare due impianti sui cinque fermi. Si noti che la presidenza di Emmanuel Macron (come probabilmente quella di Joe Biden dopo le imminenti elezioni di medio termine negli Usa) ha al collo una catena populista nella persona di Jean-Luc Mélenchon, il quale è evidentemente felice dello sciopero selvaggio indetto dalla Cgt francese (equivalente della Cgil). Ma gli Orlando come i Mélenchon rischiano di finire come avvenne a Torino nel corso della Marcia dei 40mila a Torino nel 1980.
Perché? Perché non tengono conto che – con una crisi ormai ventennale – la gente non può restare a piedi per dieci giorni, perdendo lavoro, tempo, denaro. Le voci raccolte sul sito di Le Figaro sono chiare. “Inaccettabile questo sciopero… Cosa fa il sindacato? Perché la Cgt non può trattare con le aziende, senza fermare le raffinerie?”; “tre ore di coda, poi ti dicono c’è un altro distributore aperto. Ci vai, ma se poi ha già finito la benzina?”; “sono molto arrabbiata ed esasperata. Capisco lo sciopero e i lavoratori, ma non possono bloccare tutto un Paese in questo modo”.
Nella Île-de-France quasi la metà dei distributori è chiusa, ed è evidente che siamo di fronte a un braccio di ferro tra Macron e Mélenchon. Se gli Orlando nostrani faranno i Rodomonte alla Mélenchon, rischieranno di perdere altri consensi. Se i Macron nostrani sbaglieranno, torneremo a votare di nuovo. Oppure andremo a scontri di piazza, nidi di vespe continue, mentre tutti staranno sui social a insultarsi?
“Qui tetigerit picem inquinabitur ab ea” (Ecclesiaste, 13:1) – Chi avrà toccato la pece, sarà da questa inquinato (insudiciato).
Aggiornato il 14 ottobre 2022 alle ore 09:36