Il termine “frugale” deriva dalla antica tradizione che indicava come virtù l’arte del cibarsi di semplici cose naturali (la frux latina) invece di cercare l’abbondanza e magari lo spreco. Va da sé che l’estensione di tale termine alle cose non naturali, bensì costruite dalla mano umana, ricada sotto lo stesso principio. Tuttavia, da più decenni, le società occidentali si sono abituate a comportamenti che hanno disinvoltamente ignorato ogni limite, in particolare quello della disponibilità energetica e dei suoi costi. Il culmine, a mia memoria, è costituito da una pratica che, in Canton Ticino, era stata attuata anni fa, per qualche tempo, a corredo di una trasmissione televisiva che prevedeva una valutazione immediata da parte del pubblico. Per determinare il vincitore, i ticinesi potevano accendere le luci di casa e, conti elettrici alla mano, il vincitore era chi aveva ottenuto la maggior quantità di kilowatt di consumo.
In realtà, ancora oggi siamo tutti “energivori”. Gli interruttori di casa – che, come dice il termine, sono fatti apposta per aprire o chiudere un circuito che consuma energia elettrica – in molte abitazioni potrebbero essere del tutto assenti perché, per la maggioranza di noi e soprattutto per le nuove generazioni, ne basterebbe uno che, una volta azionato, potrebbe dare luce o calore o frescura a tutto l’appartamento fino a che non si andrebbe a letto. Se, poi, pensiamo a un’abitazione dotata di installazioni “domotiche” generose, il conto della bolletta avrà vita assai allegra perché nessuno, installandolo, chiederà che l’impianto sia votato alla frugalità bensì alla comodità.
Ma le cose cambiano e, oggi, i Paesi non necessariamente definibili come frugali come quelli nordici – sui quali le cicale meridionali hanno avuto da ridire, come se si trattasse di gente che non aveva capito il senso storico della modernità – scoprono che, forse, è meglio non esagerare con l’illuminazione dei monumenti di notte, quando solo qualche ubriaco vaga per la città. E si accingono persino a “suggerire” ai cittadini di evitare essi stessi di consumare energia non strettamente necessaria. Le nuove generazioni non capiranno perché si tratta di teoria, ma i fatti li costringeranno ad accettare le leggi della fisica e quelle dell’economia, magari aiutate dal consiglio, da parte dei maestri, della lettura – ma poco ci credo – delle cronache e delle idee di uomini come Quintino Sella e Luigi Einaudi i quali, sul tema degli sprechi, avevano idee chiare, sulle quali attualmente dovremmo tornare a riflettere. Non so se nemmeno le generazioni che oggi sono adulte potranno essere di sostegno a un simile indispensabile disegno poiché, in fatto di consumi vistosi, per dirla con Thorstein Veblen, sono campioni a giudicare dai cavalli che ambiscono a “possedere” negli agognati Suv, disastrosamente voluminosi ed energivori per definizione, senza alcun rapporto razionale con il servizio reale che devono offrire.
Sia chiaro: l’economia contemporanea, rifiutando giustamente ogni tesi miopemente pauperistica, si regge anche sui consumi di massa e sulla disponibilità di una energia il cui prezzo sia ragionevole. Ma la ragione ha anche i suoi limiti e il “prezzo giusto” non esiste. Esiste solo il prezzo che uno è disposto a pagare. Messa così, la questione dell’energia, una volta superata la crisi attuale, dovrà essere posta al centro dell’attenzione non solo dei Governi ma degli stessi cittadini i quali, si spera, comprendano che essa non è “dovuta” da qualcuno né disponibile ad libitum come l’aria, perché è sì un bene prezioso presente in natura come realtà potenziale, ma che senza il costoso intervento umano non servirebbe a nulla.
Inutile dire che, argomenti e perorazioni di questo genere, difficilmente faranno parte delle discussioni nella campagna elettorale. Meno che meno di Enrico Letta, troppo impegnato a proporre scelte culinarie.
Aggiornato il 29 agosto 2022 alle ore 11:12