Se gli italiani fossero veri sovranisti

Le due nazioni, che dopo la fine della Seconda guerra mondiale, si trovavano nella medesima condizione a causa della sconfitta erano il Giappone e l’Italia. Entrambi i Paesi erano stati distrutti dalla guerra e senza risorse naturali. Ciò nonostante sia il Paese del Sol levante che il Belpaese hanno realizzato una crescita economica che li ha portati a diventare alla fine degli anni Ottanta, rispettivamente la seconda e la quinta economia del mondo. La vera risorsa naturale in comune tra il Giappone e l’Italia è il risparmio. I giapponesi e gli italiani si sono contesi il primato mondiale per la propensione al risparmio delle famiglie.

Il debito pubblico giapponese è di oltre cento punti più alto di quello italiano eppure i tassi d’interesse sul debito sovrano sono decisamente più bassi. La motivazione? I giapponesi investono i propri risparmi nei titoli del loro debito sovrano e godono della sovranità monetaria. La liquidità detenuta in contanti e sui conti correnti bancari degli italiani ha raggiunto a marzo 2022 oltre 1.100.000 miliardi di euro. Sono disponibilità finanziarie parcheggiate in banca o tesorizzati a casa che non producono alcuna remunerazione in termini d’interesse anzi subiscono perdite di capitale a causa della perdita di potere d’acquisto causata dall’inflazione.

I risparmiatori italiani sono diventati estremamente prudenti dopo le reiterate crisi finanziarie che si sono succedute negli anni e che li hanno coinvolti causando perdite ingenti di capitale investiti in: bond argentini, i mutui sub prime, il fallimento delle banche italiane. I titoli di Stato italiani non hanno mai tradito i risparmiatori italiani. La famiglia italiana investiva i propri risparmi prevalentemente se non esclusivamente in titoli italiani. Nel gergo finanziario il cassettista veniva chiamato Bot People perché comprava i Bot (Buoni ordinari del Tesoro), i Cct (Certificati di credito del Tesoro) e i Btp (Buoni del tesoro poliennali).

I risparmiatori amavano i titoli di Stato perché erano: esenti da imposte e al portatore. Oggi, i titoli di Stato sono soggetti a ritenuta fiscale del 12,5 per cento sugli interessi e sono: nominativi e dematerializzati. Se è giustificabile la dematerializzazione e la nominatività del titolo, per la tracciabilità dei possessori, è meno comprensibile la tassazione. In una situazione ideale, far pagare le imposte sulle rendite finanziarie è cosa giusta ed equa. Ma se il debito pubblico è esposto allo Spread, che incrementa i tassi d’interesse e coinvolge tutti gli strati sociali con danno soprattutto per le famiglie indebitate con i mutui per l’acquisto della prima casa, non sarebbe meglio renderli esentasse?  Incentiverebbe la propensione degli italiani a comprare il debito del proprio Paese. Se l’Italia si affrancasse dagli investitori esteri e il debito pubblico venisse acquistato dai risparmiatori italiani come fanno i giapponesi, lo Spread non avrebbe più ragione di esistere. Il “sacrificio fiscale” sarebbe ampiamente compensato dal vantaggio di non pagare tassi d’interesse più alti dei tedeschi!

Aggiornato il 17 giugno 2022 alle ore 11:02