Se gli italiani fossero veri sovranisti

venerdì 17 giugno 2022


Le due nazioni, che dopo la fine della Seconda guerra mondiale, si trovavano nella medesima condizione a causa della sconfitta erano il Giappone e l’Italia. Entrambi i Paesi erano stati distrutti dalla guerra e senza risorse naturali. Ciò nonostante sia il Paese del Sol levante che il Belpaese hanno realizzato una crescita economica che li ha portati a diventare alla fine degli anni Ottanta, rispettivamente la seconda e la quinta economia del mondo. La vera risorsa naturale in comune tra il Giappone e l’Italia è il risparmio. I giapponesi e gli italiani si sono contesi il primato mondiale per la propensione al risparmio delle famiglie.

Il debito pubblico giapponese è di oltre cento punti più alto di quello italiano eppure i tassi d’interesse sul debito sovrano sono decisamente più bassi. La motivazione? I giapponesi investono i propri risparmi nei titoli del loro debito sovrano e godono della sovranità monetaria. La liquidità detenuta in contanti e sui conti correnti bancari degli italiani ha raggiunto a marzo 2022 oltre 1.100.000 miliardi di euro. Sono disponibilità finanziarie parcheggiate in banca o tesorizzati a casa che non producono alcuna remunerazione in termini d’interesse anzi subiscono perdite di capitale a causa della perdita di potere d’acquisto causata dall’inflazione.

I risparmiatori italiani sono diventati estremamente prudenti dopo le reiterate crisi finanziarie che si sono succedute negli anni e che li hanno coinvolti causando perdite ingenti di capitale investiti in: bond argentini, i mutui sub prime, il fallimento delle banche italiane. I titoli di Stato italiani non hanno mai tradito i risparmiatori italiani. La famiglia italiana investiva i propri risparmi prevalentemente se non esclusivamente in titoli italiani. Nel gergo finanziario il cassettista veniva chiamato Bot People perché comprava i Bot (Buoni ordinari del Tesoro), i Cct (Certificati di credito del Tesoro) e i Btp (Buoni del tesoro poliennali).

I risparmiatori amavano i titoli di Stato perché erano: esenti da imposte e al portatore. Oggi, i titoli di Stato sono soggetti a ritenuta fiscale del 12,5 per cento sugli interessi e sono: nominativi e dematerializzati. Se è giustificabile la dematerializzazione e la nominatività del titolo, per la tracciabilità dei possessori, è meno comprensibile la tassazione. In una situazione ideale, far pagare le imposte sulle rendite finanziarie è cosa giusta ed equa. Ma se il debito pubblico è esposto allo Spread, che incrementa i tassi d’interesse e coinvolge tutti gli strati sociali con danno soprattutto per le famiglie indebitate con i mutui per l’acquisto della prima casa, non sarebbe meglio renderli esentasse?  Incentiverebbe la propensione degli italiani a comprare il debito del proprio Paese. Se l’Italia si affrancasse dagli investitori esteri e il debito pubblico venisse acquistato dai risparmiatori italiani come fanno i giapponesi, lo Spread non avrebbe più ragione di esistere. Il “sacrificio fiscale” sarebbe ampiamente compensato dal vantaggio di non pagare tassi d’interesse più alti dei tedeschi!


di Antonio Giuseppe Di Natale