Che le stime di crescita per il biennio 2022-2023 dovessero essere riviste al ribasso era scontato. Ed infatti – secondo lo scarno comunicato stampa che ha fatto seguito alla approvazione del Documento di economia e finanza 2022 – si passerà dal 4,7 per cento e 2,8 per cento previsti nella Nota di aggiornamento dello scorso settembre al 3,1 per cento e 2,4 per cento del Documento di qualche giorno fa. Una revisione certamente giustificata da quanto accade alle porte dell’Unione europea e dai suoi più che probabili riflessi sull’economia mondiale e sui comportamenti di famiglie e imprese. Ciò premesso, non è francamente utile domandarsi se e quanto si tratti di una correzione appropriata e avviare una dotta discussione su qualche decimale. I margini di incertezza sia a breve che a medio termine sono tali da indurre a ragionare sulle tendenze di fondo assai più che non sulle stime puntuali. E di tendenza di fondo in questo Documento di economia e finanza ce n’è soprattutto una e riguarda la finanza pubblica.
A settembre, a fronte di un quadro macroeconomico tutto sommato confortante, si immaginavano politiche espansive tali da spostare più in alto di circa mezzo punto il tasso di crescita del prodotto interno lordo. Perché – è opportuno ricordarlo – l’idea (francamente bizzarra) era che bisognasse recuperare non solo il terreno perso rispetto all’anno pre-pandemia (2019), ma anche il terreno che ipoteticamente avremmo guadagnato negli anni della pandemia se questa non ci fosse stata. In aprile, in un contesto in cui le aspettative di crescita non possono che essere significativamente riviste al ribasso, si ipotizza che gli spazi per una politica fiscale espansiva si siano anch’essi visibilmente ridotti tanto da non consentirci altro se non un effetto sulla crescita attesa non superiore ai due decimi di punto. Il tema qui non è quello della intonazione della politica fiscale – che per la politica italiana conosce da sempre solo una connotazione: quella espansiva – quanto quello della sua natura regolarmente pro-ciclica.
Detto in altri termini, ammesso e non concesso che vi sia una qualche utilità nella gestione minuto per minuto in chiave anti-ciclica della politica fiscale, l’Italia non è in grado di praticarla. E ciò per la condizione cronicamente pericolante della nostra finanza pubblica e per la nostra pervicace attitudine a rifiutare l’idea che i giorni di sole vadano utilizzati per prepararsi ai giorni di pioggia (o di grandine). Grazie a quanto sta accadendo ci stiamo, forse, seriamente ponendo il tema della sicurezza energetica. Cosa deve accadere, oltre quanto è già successo, per convincerci che anche la sicurezza finanziaria – una finanza pubblica disciplinata e un debito pubblico sotto controllo nel livello e nella dinamica – conta?
(*) Consigliere d’amministrazione dell’Istituto Bruno Leoni
Aggiornato il 11 aprile 2022 alle ore 12:02