Già prima dell’invasione dell’Ucraina il prezzo dei trasporti era aumentato, e non solo in Italia: da mesi era cresciuto il costo dell’import di container via mare, e molti prodotti e materie prime erano rincarati o erano quasi spariti sui mercati globali. Di conseguenza, sono saliti anche i prezzi delle utenze domestiche e aziendali, nonché dei prodotti alimentari. La crisi bellica ha innescato uno scenario persino peggiore. Di fronte ai tentennamenti del dibattito in Italia, e delle soluzioni in Occidente ed Europa, il presidente di Federpetroli Italia, Michele Marsiglia, ha indicato la sola strada concreta possibile: riaprire l’estrazione di gas e petrolio nel territorio italiano ci porterebbe ad avere un’autonomia del 54 per cento dei consumi. Col risparmio potremmo gestire il passaggio alle energie rinnovabili senza suicidare la nostra economia. Di seguito l’intervista di Michele Marsiglia a L’Opinione.
È davvero possibile portare al 54 per cento la copertura del fabbisogno nazionale coi nostri giacimenti?
Da diversi anni abbiamo riscontrato che, dopo le scoperte petrolifere di prima fase iniziate da Enrico Mattei, l’Italia ha un grande potenziale energetico sia sulla terraferma che nella parte interessata dal bacino marino. A seguito di decreti, leggi, referendum e altro, da anni nel nostro Paese non è più possibile fare attività petrolifera di prospezione e produzione di idrocarburi, e parliamo sia di olio che di gas. Abbiamo un prodotto che, se sfruttato, può dare grandi introiti come royalties allo Stato, ovviamente con i dovuti investimenti e con infrastrutture di collegamento ai centri di trattamento come le raffinerie e i depositi. Questo significa creare quel mix energetico ottimale, un paniere composto da tutte le forme di energia (rinnovabili e da idrocarburo) utile a riportare il Paese a una politica energetica forte, nonostante l’approvvigionamento estero che, per ragioni di caratteristica di prodotto e per i rapporti di cooperazione bilaterale, deve esistere in una politica industriale di uno Stato, specialmente in Italia, Paese determinante del bacino Mediterraneo. Tutto il territorio italiano è interessato da possibili “trappole” (in gergo tecnico) di idrocarburo, l’importante è avere i permessi ed investire negli studi già inizializzati, per conoscere in miglior modo le riserve petrolifere certe. Un tempo tutto l’Oil & Gas era concentrato sulla Basilicata, oggi sappiamo che il potenziale esiste anche in altre location.
Entro quanto tempo possiamo arrivare al 54 per cento dei nostri consumi?
Potremmo soddisfare nell’arco di 8/10 anni il 50 per cento e più del fabbisogno italiano. Questo non vuol dire che bisogna attendere 10 anni. Già sviluppando un ampliamento strutturale dei giacimenti esistenti nell’Offshore Adriatico, mare di Sicilia e bacino marino della Sardegna, in meno di due anni i risultati sarebbero fortemente evidenti ai consumatori italiani, per non parlare di tutti i pozzi su terraferma che potrebbero essere potenziati sia per il gas che per l’olio.
Quali sarebbero i costi della ripartenza delle estrazioni in Italia?
È chiaro che gli investimenti richiedono capitali, ma la nostra industria è pronta da anni e non hai mai nascosto la volontà di investire e creare occupazione. Lo dimostrano i grandi investimenti dell’’Oil & Gas italiano in Africa, Medio Oriente e altre location con grandi progetti petroliferi. Inoltre, ricordiamo che in Italia abbiamo una qualità di Gas alquanto pregiata, con una purezza al 92 per cento, questo vuol dire più eco-sostenibilità e costi di lavorazione vantaggiosi. Se parliamo invece del petrolio, anche qui il nostro sottosuolo fornisce diverse tipologie, certamente da integrare con altri greggi di produzione da Paesi esteri del Medio Oriente.
Qual è lo stato delle nostre forniture da Libia e Algeria? Possono sostituire in parte quelle russe?
È un tema che mi tocca nel cuore, visto che ho curato diversi giacimenti e pozzi libici. Purtroppo, la Libia negli ultimi anni ha avuto dei gravi problemi, avendo anche una sorta di moratoria da parte dell’Opec (come Paese membro) per la mancata produzione. Oggi la Libia, grazie alla nostra presenza con Eni, sta risalendo con le quote di produzione petrolifera. Gli investimenti futuri saranno concentrati sulle operazioni di ripristino e ammodernamento degli impianti e ampliamento delle strutture e terminali di collegamento. Parliamo di un Paese con caratteristiche anche ambientali (zone desertiche) che spesso alterano il funzionamento degli impianti, se questi non vengono utilizzati e stanno fermi per molto tempo causa guerriglia e disposizioni di sicurezza. Per quel che riguarda l’Algeria, va dato un plauso a Claudio Descalzi, Ad di Eni, che proprio in questi ultimi giorni si è recato in Nord Africa per stringere il forte rapporto commerciale che da tantissimi anni abbiamo con l’Algeria tramite la nostra Compagnia energetica nazionale. Avremo più gas di quanto ne abbiamo importato finora. Questo accordo sarà utile non solo in questo momento di conflitto russo-ucraino ma anche per gli anni futuri della nostra politica energetica.
È davvero fattibile in 2-4 anni la realizzazione del gasdotto Poseidon, che potrebbe trasportare in Italia ed Europa il metano offshore di Israele, Libano e Cipro, con possibilità di gas tramite le Zee aggiuntive di Turchia e Grecia?
Il Medio Oriente è la mia seconda casa, una terra bellissima ma difficile. Come difficili sono i Paesi citati: Libano, Israele, Turchia e Grecia. Cipro è nel mezzo della contesa. Nelle acque cipriote esiste un grande potenziale petrolifero, anni fa abbiamo ottenuto licenze di esplorazioni e oggi, a causa dell’infinta contesa delle acque territoriali tra Turchia e Grecia, molte aziende hanno dovuto azionare degli stop lavorativi lasciando in loco le attrezzature, con esborsi economici esorbitanti. Altrettanto difficile è far stringere la mano a Libano e Israele: penso sia un’operazione complicata, e il problema dura da più di 50 anni. A largo della Striscia di Gaza esiste un grande giacimento chiamato Leviathan che, se sfruttato, potrebbe stravolgere gli equilibri geopolitici mediorientali. Il gasdotto EastMed-Poseidon è uno dei gasdotti più dibattuti. La fattibilità esiste ma bisogna capire quali saranno i Paesi e i tratti interessati dalla politica internazionale. Non dimentichiamo che con il Tap (Trans Adriatic Pipeline), prima di arrivare alla contesa finale, ci sono voluti diversi anni di grande fatica.
Aggiornato il 07 aprile 2022 alle ore 10:08