Con il termine “esdebitazione” si intende quella particolare procedura grazie alla quale un debitore si libera dalle obbligazioni non onorate e viene totalmente riabilitato. Nel diritto italiano l’esdebitazione fa la sua comparsa a seguito delle modifiche apportate alla Legge Fallimentare “soltanto” a metà degli anni 2000, grazie a una serie di interventi legislativi susseguitosi tra il 2005 ed il 2007, andando a prendere il posto dell’abrogata “riabilitazione civile del fallito”. L’obiettivo, in linea con la ratio del novellato corpus della Legge Fallimentare, era piuttosto semplice ma di grande effetto: spostare l’attenzione verso un sistema di favore per l’impresa e gli istituti di credito e non a esclusiva tutela dei creditori. Un’esigenza già avvertita negli anni Settanta ma limitata a un ristretto contesto accademico.
Bisognerà attendere gli anni 2000, sulla spinta dei cambiamenti del sistema economico, su impulso europeo e con un occhio alle evoluzioni normative di altri Paesi (Germania e Francia su tutti), per poter concepire il fallimento non più come una severa pena-punizione per l’imprenditore ma come una delle molteplici possibilità che un’organizzazione aziendale può attraversare nel corso della sua variegata vita. Nel nuovo Codice delle Crisi d’impresa e dell’Insolvenza (Ccii) l’esdebitazione è rubricata al Capo X – più precisamente agli articoli dal 278 al 283 – e rappresenta una ulteriore innovazione della normativa contenuta nella Legge fallimentare (articoli da 142 a 145).
La Commissione Rordorf, chiamata a elaborare proposte di riforma, ricognizione e riordino alla disciplina delle procedure concorsuali, invitava il Governo ad attenersi, sul tema dell’esdebitazione, ai tre seguenti criteri:
– prevedere la possibilità per il debitore di presentare la domanda di esdebitazione subito dopo la chiusura della procedura concorsuale e, in ogni caso, dopo tre anni dalla sua apertura, fermo restando i casi di inapplicabilità;
– introdurre forme particolari di esdebitazione di diritto riservate alle insolvenze minori;
– prevedere il beneficio dell’esdebitazione anche per le società.
Il Legislatore ha accolto in toto i su citati punti formulati dalla Commissione. Nel nuovo Codice delle Crisi d’impresa e dell’Insolvenza il beneficio dell’esdebitazione è stato esteso a tutti i debitori, siano essi consumatori, imprenditori o professionisti, a prescindere dalla loro organizzazione in forma individuale o collettiva e al perseguire o meno il fine del lucro. Pertanto, nella recente formulazione normativa anche le persone giuridiche, i gruppi d’imprese e le società pubbliche possono accedere al beneficio esdebitativo che opera, di riflesso, anche nei confronti dei soci illimitatamente responsabili.
Una precisazione è d’obbligo: la liberazione dai debiti non comporta una vera estinzione degli stessi ma una loro inesigibilità, con conseguente mantenimento del credito vantato nei confronti dei coobbligati, fideiussori e obbligati in via di regresso del debitore principale. Altra importante novità riguarda le condizioni temporali di accesso al beneficio, potendo il debitore richiedere l’esdebitazione a partire dal terzo anno, ridotto a due in taluni casi, successivo all’apertura della procedura e, pertanto, non più al termine ma nelle more della stessa. Un quadro ben lontano dal considerare l’imprenditore come unico responsabile del proprio stato di insolvenza e, per questo, etichettato come “fallito” nell’accezione più negativa del termine, quale persona che nella vita non è riuscita in alcuna delle sue aspirazioni.
Nell’originaria formulazione del Regio Decreto contenente la Legge Fallimentare il soggetto fallito era, di fatto, classificato come tale con tanto di pubblica iscrizione nel casellario giudiziario. Il fallito incontrava innumerevoli difficoltà nell’avviare una nuova attività imprenditoriale, nell’ottenere un finanziamento e, più in generale, nell’esercitare a pieno i suoi diritti civili. Un’impostazione, questa, che oggi definiremo arcaica, medievale, limitata e limitante dei più basilari diritti di ogni cittadino. Il cambiamento che l’evoluzione normativa sulle crisi d’impresa ha subito nel corso degli ultimi quindici anni deve essere inteso e letto, anche, in senso culturale quale riflesso di una evoluzione normativa che, non senza difficoltà e rallentamenti, si adegua al contesto storico, socio-economico e culturale attuale.
(*) Revisore legale
(**) Dottore commercialista
Aggiornato il 28 marzo 2022 alle ore 10:53