Sono senza dubbio utili le intese tra le singole Regioni e i vari Dicasteri in merito alla attuazione di determinati atti programmatici; senza dubbio sono utili gli Accordi di programma tra le grandi aziende come l’Anas e le Ferrovie dello Stato mirati alla realizzazione di progetti; senza dubbio sono utili, ai fini anche delle coperture finanziarie delle varie proposte, i Contratti di programma sempre delle grandi aziende come l’Anas e le Ferrovie dello Stato. Senza dubbio sono utili tutti gli strumenti che aiutano i vari soggetti attuatori a dare concreta operatività alle scelte definite con atti programmatici e con determinate leggi. Quindi, la componente pubblica sicuramente è essenziale, tuttavia questa macchina possiede un difficile vincolo: non è in grado di contenere i tempi degli iter procedurali, non ha la coscienza della importanza del fattore “tempo” perché, sembra strano, ma l’interesse dell’organo pubblico, l’interesse del Governo e di tutte le sue componenti strutturali persegue due distinti obiettivi:
- assicurare la certezza programmatica, assicurare cioè che quel determinato territorio, quel determinato comparto della Pubblica amministrazione, possa, in futuro, disporre di una specifica infrastruttura, di un determinato beneficio;
- ottenere da questo “annuncio programmatico”, ripeto solo da un “annuncio programmatico”, un adeguato consenso.
Invece, non viene utilizzato uno strumento usato nelle attività istruttorie della Verifica di impatto ambientale e cioè quello della Verifica di ottemperanza. Una verifica che dovrebbe avvenire non dopo un semestre, non dopo un anno, non dopo anni ma dovrebbe essere strettamente legata al cronoprogramma con cui il soggetto pubblico ha definito l’attuazione della proposta approvata nelle sedi competenti. D’altra parte, l’Unione europea, con le linee guida che hanno reso possibile un vero codice comportamentale che caratterizza l’intero Pnrr, ha direttamente e indirettamente invocato un simile impianto metodologico; tuttavia, temo che il soggetto pubblico non sia in grado di rispettare in modo organico e sistematico un simile approccio.
Abbiamo letto, anzi leggiamo ormai giornalmente, che sono stati rispettati tuti gli impegni programmatici, tutte le riforme richieste dall’Unione europea; ma tutti questi erano e sono atti non dico facili ma certamente non sono strettamente legati con quello che correttamente definiamo “processo attuativo”, “fase realizzativa”. In particolare, nel caso delle infrastrutture tale fase è quella della conclusione progettuale, della conclusione del processo autorizzativo, dell’affidamento delle opere a valle della gara, della concreta cantierizzazione.
Ebbene, questa ultima fase, o meglio, questa lunga e non facile sommatoria di fasi, non può essere veloce e carica di convinta coscienza del fattore tempo e, soprattutto, caratterizzata da un convinto interesse a raggiungere il risultato; occorre, a mio avviso, sin dall’inizio rendere possibile il coinvolgimento del “privato”. Lo Stato, le grandi Aziende pubbliche devono svolgere un ruolo “leggero”, devono solo enunciare le proprie finalità, le proprie strategie, il privato deve diventare, con lo strumento del “promotore”, un attore chiave dell’intera finalità progettuale, deve diventare il catalizzatore di scelte che altrimenti rimarrebbero tali. Lo strumento del “promotore” lo avevo già invocato sin dal mese di giugno del 2021 ricordando che esso è previsto dall’articolo 37 bis della Legge 109/1994.
Ad esempio: quello delle concessioni di reti stradali, ferroviarie e metropolitane; se prende corpo una forma di Partenariato pubblico privato (Ppp) e se tale forma viene costruita ricorrendo o al “canone di disponibilità”, cioè dopo il collaudo dell’opera il soggetto pubblico riconosce al privato un canone annuo per un certo numero di anni, o se si decide che il recupero dell’investimento venga assicurato attraverso forme di pedaggio, allora scatta automaticamente l’interesse del privato a completare l’opera in tempi certi, perché in tal modo aumenta il periodo di recupero dell’investimento.
Questa ipotesi sono sicuro non sarà condivisa da chi invoca la trasparenza, il rischio malavitoso, il cattivo uso delle risorse pubbliche, da chi invoca queste categorie diventate ormai un ottimo supporto al “non fare”, perché non ha fiducia proprio in se stesso, non ha fiducia nella capacità di controllo e di gestione delle scelte.
In tutti i modi, ancora per qualche mese vivremo in questo stato di ottimismo e di “gratuita speranza”, quando arriveremo alla fine del 2022 e ciò che chiamiamo la macchina dello Stato, supportata da leggi cariche anche di procedure snelle e di commissari, non sarà riuscita a dare reale attuazione alle scelte, specialmente quelle del comparto delle infrastrutture, allora forse capiremo che l’unico riferimento possibile è il Partenariato pubblico privato.
Alla fine del 2022, in realtà, avremo perso più di due anni (conosciamo infatti il quadro del Pnrr dal luglio del 2020) ma almeno, coinvolgendo i privati, potremmo dare almeno attuazione a delle opere prioritarie, possibilmente di quelle ubicate nel Mezzogiorno e questo, ribadisco, non vuole essere assolutamente un approccio pessimistico.
(*) Tratto dalle Stanze di Ercole
Aggiornato il 31 gennaio 2022 alle ore 16:10