Secondo un’affermazione largamente condivisa, e pronunciata anche da Mario Draghi, esisterebbero il debito buono e quello cattivo. Per la verità ne esiste un terzo, cioè il debito eccessivo. Che in una situazione imprevista, e decisamente negativa come quella derivata dalla pandemia, si possa accedere al debito pubblico è fuori discussione. Ma il Quantitative easing (Qe) era iniziato prima e, ora, vi si aggiunge il finanziamento europeo per la ripresa. Sommate, le due quantità di moneta, l’una fornita indirettamente attraverso gli acquisti della Bce e l’altra prestata direttamente dalla stessa, convergono, per l’Italia, su un ammontare totale mostruoso. Eppure, sia per il Qe sia per il Piano di ripresa, da noi non si fa altro che esultare perché così, come tutti i politici asseriscono, “vi saranno molti soldi da spendere”. E sono tutti felici e contenti.
Tuttavia, da più parti si fa presente che, alla fine, il “Piano” consiste in nuovo debito e che, presto o tardi, esso andrà restituito mentre il Qe ha rappresentato una sorta di finzione contabile la quale, assieme agli effetti del Piano, non può durare a lungo ed è esposta ai pericoli dell’imprevedibile. Draghi era riuscito a imporre il suo famoso Whatever it takes ma nessuno, o quasi, ha pensato di chiedergli: “Già, ma quanto può costare quel whatever,” nel medio-lungo periodo? L’imprevedibile è ovviamente un’incognita, ma solo chi non è cicala si prepara per gli imprevisti. E, infatti, un suo esempio è già davanti a noi da quasi due anni nei panni di un virus che sta decimando le imprese in vari Paesi europei e che rende più insicura che mai la “resilienza” a cui molti guardano con superficiale miopia. L’imprevisto con cui abbiamo a che fare, sommato ai bassi tassi, sta generando inflazione esattamente nei termini in cui gli economisti non-keynesiani avevano anticipato.
Secondo Hans Weidmann, che, da governatore della Bundesbank, si opponeva al Qe e, poi, ad una eccessiva spesa per il Piano di ripresa, il tasso di inflazione non è affatto provvisorio come sostenuto da Christine Lagarde, bensì è destinato ad aumentare anche perché, aggiungiamo noi, il contesto internazionale è per nulla favorevole, a cominciare dal mercato delle materie prime. C’è chi sottolinea che, in fondo, l’inflazione, se i tassi non aumentano, rende più leggero il debito di chiunque e quindi anche degli Stati, ma sta di fatto che essa include sempre un potenziale esplosivo, economico e sociale, dal quale sarebbe meglio stare lontani. Anche perché, la presenza di una produttività e di una crescita ormai storicamente deboli o comunque più basse di altri Paesi, mantiene l’appetibilità del nostro debito su valori troppo bassi spingendo la spesa per gli interessi troppo in alto.
Così, mentre l’idea della parità di bilancio si allontana sempre di più – favorendo però, nelle crisi, i Paesi che l’hanno almeno tendenzialmente rispettata – noi, per poter “godere” dei nuovi prestiti ci troviamo a dover rispettare regole e vincoli, peraltro giusti e opportuni, davvero stringenti e che, temo, risulteranno incomprensibili e magari sgraditi ai più. Perché il nuovo debito si riveli “buono”, c’è solo da sperare che il Governo, grazie alla spinta europea, riesca, oggi, a fare ciò che i Governi precedenti non sono riusciti a fare ieri; che, insomma, anche la politica si dimostri “buona” anziché “cattiva”.
Aggiornato il 24 novembre 2021 alle ore 12:29