La speculazione finanziaria sta modificando le carte costituzionali

Il debito mondiale ammonta a circa 253 mila miliardi  di dollari, il 322% del Pil globale. Secondo i calcoli del gatto che gioca col topo, il settanta per cento di questi debiti penderebbe sui paesi più poveri. Per dirla in soldoni: i poveri non pagano mai i debiti e ne mettono sempre di nuovi. In pratica, il mondo sarebbe sovraindebitato per colpa dei poveri. Teoria più volte esposta con autorevolezza nelle sedi più blasonate del pianeta: da Davos a Cernobbio, passando per l’Onu, la Nato, la Fao e la Banca Mondiale. Ma che avranno mani fatto i poveri con quella montagna di soldi, sono davvero gran scialacquoni. A questo punto si contrappongono due teorie: quella classica che vorrebbe si sviluppasse la crescita economica dei paesi poveri e indebitati. Mentre l’altra (oggi predominante e green) vorrebbe bloccare, congelare, l’economia. Perché in un mondo super indebitato, dove i debiti sorreggono le scommesse del mondo finanziario, dove le scommesse si basano sul fatto che i tassi siano vicini o pari a zero, gli speculatori evitano saggiamente che i tassi d’interesse possano salire. Perché se i tassi salissero, diminuirebbe il valore nominale dato a garanzia, s’innescherebbe la reazione a catena delle “margin call” (strumento economico per diminuire o annullare il rischio di credito nel mercato dei futures, ossia il rischio che l’investitore risulti insolvente a fronte d’una variazione per lui negativa). Quindi i grandi speculatori si sono costruiti la garanzia planetaria. Ne consegue che, la green economy s’è accordata con i maggiori detentori del debito mondiale perché le economie europee (in special modo quelle di Italia, Spagna e Grecia) rimangano depresse. E’ l’ordine partito dalla catena di comando finanziaria per il decennio infernale, che si concluderà nel 2030. L’asse finanziario anglo-franco-tedesco (totalmente finanziario e prescinde dalla politica degli stati) ha stabilito che, 200milioni di disoccupati europei debbano essere sorretti con una politica socio-solidale di povertà sostenibile, reddito universale di cittadinanza.

Ma chi gestirebbe questo “reddito universale di cittadinanza”? Soprattutto potrebbero mai i grandi possessori di danaro (quantità smisurate di liquidità) preferire pagarci a patto che non lavoriamo? E sarebbero divenuti a tal punto filantropi da preferire pagarci pur di salvare il Pianeta dal fattore lavoro incontrollato, secondo certi grande concausa del consumo del Pianeta, dell’inquinamento? E’ ormai noto che la moneta elettronica si possa creare dal nulla e che, nel caso della povertà sostenibile, verrebbe creata con limiti sulle tipologie merceologiche d’acquisto. I poveri potrebbero comprare solo roba da poveri, e questo dividerebbe il mercato in cattivi compratori e buoni compratori (i ricchi). In un siffatto sistema sortire dalla povertà diverrebbe impossibile, infatti è stata coniata l’espressione “povertà irreversibile”: per i grandi speculatori l’ascensore sociale bloccato è uno dei patti a monte. Noi italiani potremmo dire a Monti, visto e considerato che Mario Monti è stato il grande fautore del blocco dell’ascensore sociale.

Scrive Manlio Lo Presti (già direttore di banca, era dipendente del Monte dei Paschi, oggi abile analista): “Quando citiamo i fondi sovrani parliamo di strutture in possesso di masse monetarie titaniche dell’ordine di migliaia di miliardi di euro. Ogni anno viene redatta una classifica dei primi dieci fondi nel mondo…Ma altre classifiche forniscono ulteriori informazioni - spiega Lo Presti - basta cercare con calma e perizia in mezzo ad una marea di ciarpame”. Sorge il dubbio che i gestori dei fondi sovrani stiano spingendo sul bloccare l’economia, e che dei fondi non si conosca bene dove termini l’influenza della finanza pubblica ed inizi quella dei privati. “I fondi sovrani sono di proprietà dei rispettivi Stati nazionali che li utilizzano per finalità di lucro - scrive Lo Presti nel suo ‘Detti e Scritti’ -. Per raggiungere interessanti livelli di guadagno, questi fondi spesso si sono lanciati in molteplici speculazioni ad altissimo rischio per ottenere rilevanti ricavi. Le loro azioni mobilitano centinaia di migliaia di miliardi di dollari e/o euro provocando scossoni all’interno del sistema internazionale delle borse e dei pagamenti, provocano crolli aziendali e bancari che creano milioni di disoccupati e perfino tensioni geopolitiche di natura militare. Sono in sostanza strumenti politici oltre che economici”.

Spaventa che i grandi amministratori di fondi (Vittorio Colao, per fare un esempio vicino all’Italia) amministrano danaro non di loro proprietà, e spesso influiscono su aziende e strutture partecipate da stati, privati e grandi speculatori. Interrelazioni molto strette (sconosciute ai più che fanno politica) capaci d’imporre scelte dolorose a chi governa uno Stato. Così, tramontato il capitalismo tradizionale (fatto di fabbriche, imprese, agricoltura…) oggi a farla da padroni sono il capitalismo che gestisce i fondi e quello di sorveglianza (security, informatica, media…). “Decaduto l’elemento fondante del capitalismo di proprietà - scrive Lo Presti nella sua indagine sulle speculazioni filantropiche - assistiamo ad una tendenza mondiale ad attaccare e demolire la proprietà privata di grandi e piccole dimensioni (case di proprietà abitativa) mediante una pesante percussione fiscale espressa con tassazione patrimoniale elevatissima. Lo scopo è quello di attuare una gigantesca razzia mediante la vendita forzata o il pignoramento dei beni di coloro che non sono in grado di pagare, che saranno oltre il 30% del totale”.

Per attuare queste politiche necessita eliminare le barriere costituzionali e giuridiche, da qui la necessità di falcidiare la Carta Costituzionale italiana, e che recita all’articolo 1: “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Quindi la Carta potrebbe essere anche riscritta così all’articolo 1: “L’Italia è uno stato controllato dall’Unione europea, fondato sulla compassionevole povertà sostenibile. La sovranità appartiene ai gestori dei fondi sovrani, che la esercitano nei limiti decisi nelle sedi sovrannazionali finanziarie e filantropiche”. Il risultato entro un decennio sarebbe una immensa tech-gleba, appesa ad un sussidio elettronico di povertà, relegata in quartieri dormitorio e controllata da una polizia internazionale: quest’ultima baderebbe bene che il povero non lavori, che si sposti lentamente dalla stamberga solo per approvvigionarsi di beni di prima necessita. Settimanalmente il servizio sanitario provvederebbe alla sedazione dei poveri, onde evitare rivolte e tentativi di neodemocraticizzazione.

Tra il potere e i popoli si frapporrebbero le nuove classi medie, robot (intelligenza artificiale), polizia, militari e sanitari. Il privato normale non avrebbe più alcun bene proprio, ogni risorsa sarebbe di proprietà dei fondi (i mercati, quindi i ricchi). E torna lo slogan “Privatizzazione vuol dire privati di tutto”. Ma torniamo alla domanda primigenia, e chiediamoci come abbiano fatto i poveri ad indebitarsi tanto. Soprattutto che stolti sono stati i ricchi filantropi a prestare soldi a tutti questi poveri.

Aggiornato il 29 settembre 2020 alle ore 14:21