Il capitalismo dei disastri s’annida nel crollo di Genova

Per comprendere a pieno il caso del crollo del Ponte Morandi, soprattutto chi abbia tratto giovamento dal disastro e quali speculazioni finanziarie abbia azionato la tragedia, necessiterebbe guardare oltre Genova, oltre le quarantatré vittime e i danni ingenti al territorio ligure e del Nord Ovest d’Italia. Spesso l’italiano medio, che sia uomo di strada o alto dirigente (magistrato, burocrate di potere), dimentica il ruolo strategico dell’Italia, l’importanza internazionale delle sue infrastrutture. Così si è abituati a credere che la speculazione finanziaria sulle tragedie sia solo roba da fantapolitica, o che possa toccare esclusivamente strutture che sbarrano la strada ai progetti dei gruppi internazionali in lembi di terra meno civili della nostra “pacifica” Europa.

Eppure basterebbe confrontare i dati del traffico merci dell’ultimo decennio, i numeri prima e dopo il crollo del Morandi fatti dai porti di Genova, Barcellona, Valencia, Algesiras, Marsiglia, Le Havre, Bilbao, Amburgo, Rotterdam e Anversa. Non dimentichiamo come le società che hanno venduto i porti spagnoli e francesi alla Cosco abbiano tratto beneficio dal depotenziamento della struttura genovese. Dopo il crollo del ponte Morandi, la portualità italiana ha fatto numeri inferiori, a tutto vantaggio delle strutture spagnole. Genova era riconosciuta dal sistema portuale italiano come la regina del Mediterraneo, con un traffico superiore a tutti i porti dell’Unione europea, con un movimento container annuo superiore a quello dei porti di Amburgo, Rotterdam e Anversa.

Dopo il crollo del Morandi, si è spenta l’Italia del traffico merci per l’Europa portualmente strategica nel Mediterraneo, e il danno lo hanno subito tutte le strutture portuali italiane, collegate comunque a Genova che smistava eccedenze e strategia logistica da Napoli a Gioia Tauro, da Taranto a Brindisi. Così l’Italia portualmente azzoppata, dopo il crollo del Morandi, ha parzialmente sopperito con il network dei porti adriatici, da Brindisi a Trieste, che negli ultimi anni s’erano concentrati soprattutto sulla rotta Balcanica. Tutto questo perché il crollo del Morandi s’è dimostrato funzionale a paralizzare la logistica italiana. Quindi, chi analizza il fenomeno del “crollo del Morandi” dovrebbe porsi il problema di chi abbia guadagnato dal disastro e cosa si sia sperimentato a Genova, anche in previsione di farne una metodica su altri territori.

Un giusto equilibrio, o un patto tra più soggetti finanziari, suggerisce Naomi Klein (scrittrice e attivista sociale canadese), ha fatto decollare nel mondo la “Shock economy”, l’ascesa del capitalismo dei disastri. Probabilmente, chi voleva azzoppare logisticamente l’Italia potrebbe aver spinto sulla messa in disuso della viabilità, immaginando che prima o poi le mancate manutenzioni avrebbero decretato il blocco del Morandi: nessuno vuole pensare a male, e cioè che avrebbero potuto anche auspicare la tragedia, il crollo. Anche se va detto che, è logico che il crollo avrebbe favorito il forte deprezzamento immobiliare in tutta l’area genovese, e a tutto vantaggio della speculazione internazionale. Qualcuno potrebbe obiettare che anche a Venezia gli speculatori aspettano l’acqua alta per fare affari. E non si fa certo peccato a pensare che la speculazione soffi sul vento di crolli e alluvioni per fare i migliori acquisti in Italia.

Ora non vogliamo minimamente ipotizzare che lo stratega del crollo sia all’interno dell’Aspi (della società Autostrade per l’Italia), ma nella struttura autostradale c’è il funzionario che non racconta agli inquirenti chi abbia ordinato di non fare le manutenzioni, di lasciare il Morandi al proprio destino. Dicono i portuali genovesi che, il Morandi qualche mese prima del crollo sarebbe stato come le vecchie navi in disarmo: ovvero cantava, le sue strutture in ferro emettevano suoni simili alle lamiere delle vecchie navi avviate alla demolizione, note per i profili dissaldati, arrugginiti o che giocano attorno a chiodi e bulloni.

Di fatto il crollo s’è dimostrato un affare per eventuali omesse manutenzioni che avrebbero garantito meno uscite alla società e più dividendi ai soci, e nessuno vorrebbe mai malignare su manutenzioni finte, concordate tra ditte e personale dell’Aspi. Resta comunque il fatto che responsabile dell’ufficio sorveglianza Genova sud di Spea Engineering (Carlo Casini), ditta incaricata dei controlli e a sua volta controllata da Autostrade per l’Italia, in una mail si dichiarava preoccupato per lo “stato di degrado generale del viadotto Polcevera”. Quindi Casini proponeva “una campagna per conoscere lo stato di precompressione dei cavi”, poi denunciava “cavi di precompressione rotti”, “fessurazioni anomale” e “travi che rimandano rumori sordi”.

E domandava: “Con cavi e travi marce, cosa vogliamo capire senza uno studio strutturale serio?”. L’Aspi faceva rispondere all’ufficio sorveglianza dal funzionario Paolo Agnese: “Ho letto delle cose nella relazione di Spea Sud che non dovrebbero accadere e soprattutto che ci eravamo detti di non scrivere – stigmatizzava Paolo Agnese – ho intenzione di parlarne con Casini e porgli il problema e uniformarlo al metodo che abbiamo sempre usato”. La Guardia di Finanza scrive che Agnese avrebbe costretto Casini a “rendere meno allarmanti le segnalazioni… e le sue relazioni vengono in più occasioni cassate e modificate”. Ora chi ha seguito la vicenda si domanderà per l’ennesima volta se Agnese abbia agito di propria iniziativa o sia stato comandato di distrarre l’attenzione sulla pericolosità del Morandi.

La Guardia di Finanza ha usato un software, sperimentato con successo dall’Fbi, per incrociare migliaia di telefonate, email e chat del ligio funzionario Aspi. Carlo Casini, è un po’ come Plinio il Vecchio per il Vesuvio: aveva annunciato la catastrofe ed è stato trasferito, stessa sorte per cinquantotto dei rinviati a giudizio. Invece Paolo Agnese è rimasto al suo posto quasi a testimoniare che la politica Aspi non s’interrompe con il passaggio in Cassa depositi e prestiti. Alcune fonti interne all’Aspi parlano anche di dirigenza occulta dell’Aspi e che Agnese ancora comandi e gestisca le infrastrutture.

I funzionari operano per rispondere a logiche e interessi superiori, pare abbia sussurrato qualcuno ai familiari delle vittime del Morandi. All’uomo di strada sorge il dubbio esista una organizzazione superiore alla dirigenza Aspi, che obbedirebbe a logiche finanziarie internazionali, che garantirebbe continui la linea aziendale sulle manutenzioni anche con i nuovi gestori. Allora il fantasioso uomo di strada è legittimato a fare voli pindarici, a chiedersi se la fantomatica loggia che gestirebbe il Consiglio superiore dei lavori pubblici potrebbe mai avere contatti con la speculazione internazionale, con chi pratica la “Shock economy”, il capitalismo finanziario dei disastri.

Suvvia, non pretendiamo che la procura di Genova spicchi un mandato d’arresto per il Demonio, finirebbe il mondo degli affari e delle angherie, e troppi analisti finanziari sconsigliano scelte avventate. Ma facciamo un po’ di filosofia, mutuando le parole dell’economista e filosofo Branko Milanović, partendo dal concetto che il capitalismo abbia trionfato seguendo due modelli: in Occidente il “capitalismo liberale” e in Oriente il “capitalismo politico”, da decenni il primo ha iniziato a vacillare sotto il peso dell’iniquità sociale e il secondo per l’opposizione politico–sociale alla corruzione istituzionale.

Milanović s’interroga nel suo Capitalismo contro capitalismo su quale dei due modelli potrebbe conquistare il pianeta, sul perché sia stata osteggiata una terza via; soprattutto l’autore dimostra che oggi siamo tutti capitalisti, e che per la prima volta nella storia dell’uomo il mondo è dominato (anche nel suo più recondito lembo di terra) da un unico sistema economico. Un unico sistema di interconnessioni finanziarie, per cui è ovvio che un crollo in Italia avvantaggi un concorrente straniero. Ecco perché è bassa la stima di quattro miliardi e mezzo di euro fatta dal team di esperti capitanato dal commercialista genovese Elsie Fusco. Certo è giusta la class action contro Autostrade per risarcire i cittadini liguri danneggiati dal crollo del Ponte Morandi, ma tremila euro pro capite sono poca cosa. Soprattutto necessiterebbe far emergere chi è il nemico del popolo. Far emergere il danno patrimoniale vero e tangibile, che ha riguardato aumento dei prezzi per i beni al consumi dopo il crollo del 14 agosto 2018, il calo del Pil regionale, l’impoverimento della popolazione, il calo del valore delle case. Ora Autostrade per l’Italia, dopo essere stata per ventidue anni dei privati, controllata da una holding delle famiglia Benetton, nel maggio 2021 è tornata cosa pubblica. – Con la Holding Reti Autostrade Spa, che possiede l’88,06 per cento del capitale sociale e che fa riferimento a Cassa depositi e prestiti che col 51 per cento ne ha il pacchetto di controllo, e minoritari a pari quote del 24,5 per cento i partner Blakston Infrastructure Partners e Macquarie Asset Management. All’uomo di strada sorge anche il sospetto che i Benetton siano stati lautamente liquidati per scongiurare raccontino di pressioni internazionali, rafforzando il sospetto che il capitalismo dei disastri abbia sfiorato anche l’Italia con le sue secche dita… “io so’ cara commare” avrebbe sentenziato un certo poeta corsaro.

In tanti si domanderanno come sia potuto crollare il ponte logisticamente più strategico d’Italia: è cascato a Genova al pari di come qualche giorno fa s’è incendiato a Roma il “Parco archeologico di Centocelle”. In quest’ultimo ci sono le sedi dei comandi interforze dell’esercito italiano, organismi alle dirette dipendenze del capo di Stato Maggiore della Difesa che esercita la pianificazione, il coordinamento e la direzione delle operazioni militari delle forze armate italiane e tutte le attività internazionali ad esse collegate: può mai andare a fuoco il “Pentagono italiano” per colpa d’un fuoco divampato nei vicini sfasciacarrozze. Tutto è monitorato micrometricamente, a Genova ieri come a Roma oggi, ma agli affari conviene la stampa dica che un ponte crolla per errore o che alluvioni e incendi accadano per distrazione umana, o perché c’è lo scemo che non chiude il rubinetto o da fuoco alle sterpaglie.

Aggiornato il 12 luglio 2022 alle ore 11:01