Per un De-Coupling Europa-Cina

Si muore non solo di virus! Dopo mesi di lockdown che hanno causato la più grave recessione (e, forse, depressione) mondiale dopo quella del 1929, le vittime di oggi e di domani sono e saranno soprattutto gli attori economici, aziende, imprese individuali e familiari oltre a parecchi milioni di persone con occupazioni precarie e percettori di un reddito volatile che svolgono i così detti lavoretti.

Un Paese che si rispetti avrebbe per tutti costoro in mente una strategia, un progetto collettivo che sia l’esatto contrario dell’attuale assistenzialismo contrassegnato da un colossale helicopter-money, con centinaia di miliardi di euro di denaro pubblico preso a debito, per erogare sussidi a pioggia destinati a spegnere il loro effetto contro-recessivo in pochissimo tempo, soprattutto qualora nel prossimo autunno-inverno si riaprisse drammaticamente la partita della pandemia globale. Occorrerebbe, invece, avere il coraggio di fare la mossa del cavallo facendo tabula rasa della follia di decine di sistemi sanitari regionali e delle loro migliaia di centri di spesa locali che creano sul territorio ogni genere di disparità: dai ricoveri; alle spese fortemente differenziate per l’acquisto di beni sanitari comuni; alla lottizzazione politica delle nomine di primari, Direttori generali, amministrativi e sanitari. Per non parlare poi del reclutamento discrezionale di personale medico e paramedico, assoggettato a regolamenti simil satrapici dettati da faraonici apparati amministrativi delle Asl, che presentano un rapporto sperequato e assurdo tra burocrati e addetti alle cure, da riequilibrare drasticamente con il blocco del turn-over e con il ricorso generalizzato allo smart working nelle Pubbliche Amministrazioni. Serve, quindi, una.. reductio ad unum dei centri di spesa in capo a un’Agenzia nazionale indipendente, mentre è da affidare al solo concerto tra Stato e Regioni l’alta programmazione territoriale del nuovo Ssn.

Quale potrebbe essere una prospettiva rivoluzionaria, rispetto a questo inferno di statu quo? Indico due macro-aspetti per una forte innovazione etica, economica e sociale. Innanzitutto, nella scontata previsione di una moria di piccole imprese a carattere artigianale e con qualche decina di addetti ciascuna, attive in tutto l’indotto industriale e manifatturiero italiano (quelle, cioè, molto sottocapitalizzate e legate a catene di fatturazioni interconnesse poco flessibili a mesi di confinamento) si potrebbe giocare una carta consortile del tipo seguente. Favorire, innanzitutto, il rilevamento di queste attività produttive da parte dei lavoratori addetti, da associare in forme cooperative (diciamo “C”) e conglomerarne le filiere omogenee attraverso un mini Qe interno statale che offra loro prestiti a lungo termine e a tasso zero di interesse per tutti gli investimenti necessari al recupero e al rilancio delle attività produttive relative. Al contempo, l’intervento pubblico deve poter contestualmente assicurare la costituzione di un serbatoio qualificato e indipendente (diciamo, “S”) di management distinto per filiere produttive, operato attraverso una selezione pubblica per merito professionale e per condotta morale di coloro che ne andranno poi a far parte. La corrispondenza biunivoca poi tra gli insiemi “C” e “S” fa parte di una semplice funzione di scelta da parte dei soci lavoratori (divenuti padroni della propria azienda), con l’accompagnamento della relativa proposta contrattuale.

In secondo luogo, la pandemia che qualcuno sostiene sia la conseguenza drammatica e planetaria di un virus cinese, ha detto a chiare note (ma vale la pena di ribadirlo) una cosa che era ben nota da tempo, a seguito della crisi di questa globalizzazione incontrollata che ha visto l’ingresso nel 2001 della Cina nel Wto (World Trade Organization) e consentito poi all’economia capitalistica di Stato di Pechino di finanziare in perdita con tantissimi trilioni di dollari la sua irresistibile corsa alla supremazia economica (e politica!) mondiale, grazie al furto generalizzato di know-how occidentale e alla concorrenza assolutamente sleale sul costo e la sicurezza del lavoro e sulla defiscalizzazione dei redditi d’impresa. Fattori questi ultimi che hanno provocato la migrazione in Cina di interi comparti industriali europei e americani, provocando come ondata di ritorno la più grave disoccupazione di massa dei ceti operai e di quelli medi occidentali, scivolati progressivamente sotto la soglia di povertà. I mercati sono stati così inondati da un mare di merci di bassa qualità offerti a prezzi stracciati a miliardi di passivi acquirenti in tutto il mondo.

Ora, l’unico modo di fermare questa offensiva ventennale è di far ricorso a un Quantitative easing adeguato per il rientro in Italia (e in Europa!) delle produzioni strategiche, finanziando con aiuti di Stato una forte defiscalizzazione dei profitti e del costo del lavoro relativi, in modo che le imprese interessate possano restare competitive sui mercati internazionali.

Le risorse del Qe debbono poi poter erogare finanziamenti anche a fondo perduto al sostegno della ricerca e sviluppo nei settori scientifici di punta, ai fini dell’innovazione industriale. In contemporanea, occorre lanciare campagne pubblicitarie ad hoc invitando i consumatori interni a privilegiare i beni merceologici di qualità derivanti da produzioni esclusivamente nazionali, non più condizionate da capitali o da management esteri. L’altra grandissima mossa strategica, come ho già detto, è poi di contrapporre alla Belt&Road Initiative cinese un analogo progetto di grandi infrastrutture integrate Italia/Europa.

Aggiornato il 12 maggio 2020 alle ore 11:52