Abolire la proprietà intellettuale? Meglio diversificare

Nel briefing paper Ibl “Proprietà intellettuale: one size doesn’t fit all“, Giuseppe Portonera affronta l’equilibrio dei sistemi di protezione della proprietà intellettuale con riferimento a due industrie classicamente impiegate come testimonial ideali dei vantaggi e degli svantaggi dell’Ip: l’industria farmaceutica, da una parte, e quella dei software, dall’altra.

Lo studio è l’occasione per esprimere un primo giudizio sulla proposta di riforma dei certificati complementari di protezione (Spc), che servono quale estensione dei diritti di proprietà intellettuale specialmente nel campo dei prodotti farmaceutici. Portonera mette in luce come la speciale protezione accordata a questa tipologia di invenzioni sia sempre stata giustificata in nome dell’innovazione, “senza la quale il diritto alla salute non sarebbe che una vuota enunciazione di principio”.

Per effetto della proposta di riforma, però, sarà consentito ai produttori di farmaci equivalenti e generici di produrre la propria versione del farmaco già in pendenza di efficacia di un Spc, non solo ai fini di esportazione sui mercati stranieri, ma anche ai fini di stoccaggio dei farmaci destinati al mercato europeo, così da porre le imprese in parola nella possibilità di commercializzare il proprio farmaco, e non solo di produrlo, già a partire dal giorno successivo alla scadenza della protezione brevettuale.

Secondo Portonera, “l’analisi della disciplina degli Spc ci restituisce l’impressione che il primo motore della proposta di riforma avanzata dal legislatore europeo sia costituito dall’obiettivo di consentire agli enti erogatori di prestazioni sanitarie di poter conseguire, in via anticipata rispetto alla situazione odierna, i consistenti risparmi di spesa derivanti dall’impiego di generici e biosimilari”. E se è vero che “non si può dismettere con leggerezza il tema dei maggiori risparmi per le casse statali, specialmente in tempi di mordenti crisi fiscali”, è altrettanto vero che non può dimenticarsi che “l’innovazione nel settore farmaceutico è realizzata dalle imprese dei farmaci branded o originator, non dai produttori di generici o biosimilari, che si limitano a ‘copiare’ i farmaci il cui brevetto è scaduto e che quindi non avrebbero neanche cosa vendere, se qualcuno prima di loro non si fosse fatto carico dei costi dell’incertezza”.

Aggiornato il 04 aprile 2019 alle ore 11:32