Il campo minato delle garanzie sul sentiero della finanza pubblica italiana
A una politica che, spesso e volentieri, dà i numeri ci siamo pian piano assuefatti. E, quindi, quando ciò non accade la cosa ci appare a dir poco sorprendente. È il caso del Documento di economia e finanza 2024 appena varato dal governo e privo, com’è noto, delle indicazioni programmatiche. È stato rapidamente bollato come un documento “al buio”, una scelta “incomprensibile” se non proprio “contra legem”. Le cose stanno forse in termini leggermente diversi. Le nuove regole fiscali che l’Unione europea si è data prevedono che il cosiddetto Piano fiscale-strutturale di medio termine venga presentato nel 2024 entro il 20 settembre (e approvato entro il 30 aprile dal 2025). A ciò si aggiunga che Eurostat si esprimerà, non prima del prossimo giugno, sul trattamento contabile del Superbonus e dei crediti d’imposta – incagliati o meno – a esso connessi. Esprimersi in termini puntuali in queste condizioni sarebbe stato – difficile non riconoscerlo – dare i numeri. Sul serio.
Il che ci evita di discutere del nulla – cosa non disprezzabile – ma non cambia di una virgola la sostanza dei problemi. Le condizioni della nostra finanza pubblica sono e rimangono tali da richiedere la massima prudenza e una dose cospicua di disciplina anche alla luce di prospettive di crescita che – non ce ne vogliano gli autorevoli cultori dell’economia “minuto per minuto” – continuano a non segnalare inversioni di tendenza significative nei fondamentali della nostra economia. Sotto questo profilo, le parole misurate del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, segnalano che quanto meno la consapevolezza dei problemi non è assente. Valga per tutti il recente riferimento al tema delle garanzie pubbliche: “I vincoli della nuova governance europea richiedono un cambio di prospettiva”. Che “dalla fase emergenziale, ci riporti progressivamente verso un percorso ordinario”.
Parole del tutto condivisibili: nel momento i cui i danni della politica dei bonus cominciano a emergere con chiarezza, è bene ricordare le tante bombe di profondità molto probabilmente ancora presenti sulla rotta della nostra finanza pubblica. Lo stock di garanzie pubbliche è passato dal 4,8 per cento del prodotto nel 2019, al 13 per cento del 2020, al 16,1 per cento nel 2021 per poi ripiegare marginalmente al 15,8 per cento nel 2022 (superando così i 300 miliardi di euro). A fronte di questa montagna di garanzie – che, se mai aveva ragione di essere nel 2020, oggi certamente non ce l’ha più – diversi provvedimenti normativi hanno provveduto ad accantonare le coperture a fronte delle escussioni attese fra il 2023 ed il 2027 per circa 50 miliardi di euro. È certamente vero che, con riferimento, per esempio, alle garanzie derivanti dall’emergenza pandemica, l’esposizione dello Stato si sta gradualmente riducendo a causa dei rimborsi a volte anche anticipati dei debiti garantiti. Ma è altrettanto vero che la chiusura della parte largamente maggioritaria delle posizioni debitorie garantite è previsto fra il 2026 ed il 2028. E quindi, per dirla con Frank Sinatra, The Best Is Yet to Come. Sarebbe bello se, oltre al ministro, ne fossero consapevoli anche la maggioranza e l’opposizione.
Aggiornato il 11 aprile 2024 alle ore 19:22