Senza lavoro e moneta, il destino del ceto medio

Circa un annetto fa Guy Ryder, direttore generale dell’Ilo (l’Organizzazione internazionale del lavoro) commentava i dati del “World Employment and Social Outlook”, spiegando perché in Occidente ci sarà meno lavoro e, soprattutto, perché nei paesi poveri dalla fascia Euro e nelle economie emergenti non sarà più possibile offrire lavoro regolare a chi in stato di disoccupazione, e indipendentemente dall’età anagrafica dell’inoccupato.

“Un grande numero di lavoratrici e lavoratori si trovano a dover accettare lavori a bassa retribuzione, non solo nelle economie emergenti e in via di sviluppo, ma sempre più frequentemente anche nei Paesi industrializzati - spiegava Guy Ryder - Dobbiamo prendere provvedimenti urgenti per rilanciare le opportunità di lavoro dignitoso. Altrimenti rischiamo che s'intensifichino le tensioni sociali”.

La previsione di Ryder fa il paio con quanto farebbero notare non pochi osservatori: cioè che in Europa si starebbe consolidando una rete sociale e politica tra disoccupati che potrebbe progettare rivolte contro i governi graditi ad alta dirigenza Ue e banche. Si tratterebbe di azioni che andrebbero ben oltre le parole partorite dai leader dei cosiddetti “partiti populisti”.

La crisi preorganizzata dalle organizzazioni finanziarie sovranazionali ha spazzato via anche in Italia sia la classe operaia che la piccola borghesia impiegatizia, commerciale e artigianale. L’aumento delle diseguaglianze sociali è stato generato da leggi che hanno recepito normative europee votate dai lobbisti di banche e multinazionali. Oggi sono a rischio povertà il 30 per cento degli italiani, mentre il 20 è già scivolato nella povertà: e quattro milioni d’italiani ormai versano nella cosiddetta fascia d’indigenza irreversibile, ovvero quella che il sistema ritiene di non dover più recuperare. Basta davvero poco per entrare nella fascia d’irreversibilità, infatti sono da considerarsi a “povertà irreversibile” tutti quei cittadini privi di casa e lavoro. Quindi interpretando gli ultimi dati Istati ben sette giovani su dieci (tra i 25 ed i 35, per certi versi anche 45) che ancora vivono in famiglia sarebbero da considerare prossimi alla “povertà irreversibile”: calerebbe su questa fascia a seguito della morte dei genitori e di eventuali familiari più prossimi. Non va certo meglio a chi ha un contratto di lavoro: infatti secondo i rapporti Oxfam e Unimpresa ben altri nove milioni d’italiani rischiano di perdere il lavoro entro il 2018, entrando repentinamente nella fascia di povertà. A questo s’aggiunge che un minore su tre rischia di essere sottratto alle famiglie dai servizi sociali per evidente povertà di padre e madre.

Con l’arrivo del 2017 le statistiche ci hanno permesso di dire addio alla borghesia. E con lei si sono estinti anche proletariato e classe operaia. Di contro l’Istituto di Statistica ha ora suddiviso le famiglie italiane in nove nuovi gruppi sociali, che ritraggono famiglie di impiegati e d’operai in pensione, suddivisi solo per consistenza economica della pensione. L'istituto ha preso in esame anche la situazione professionale, la cittadinanza, il titolo di studio, il numero di membri della famiglia, associando quindi alla componente economica quella socio-demografica.

“La classe operaia - scrive l’Istat - ha abbandonato il ruolo di spinta all’equità sociale mentre la borghesia non è più alla guida del cambiamento e dell'evoluzione sociale... Una delle ragioni per cui ciò è avvenuto è la perdita dell’identità di classe, legata alla precarizzazione e alla frammentazione dei percorsi lavorativi, ma anche al cambiamento di attribuzioni e significati dei diversi ruoli professionali”.

Per un verso l’estinzione della borghesia agevola il consolidarsi dei regimi “tecnico-finanziari”, infatti le rivoluzioni sono sempre state volute dalla borghesia. Ma dall’altro agevolano le rivolte, che sono ben altra cosa: la rivolta è acefala e dettata dallo stomaco, ed il suo esito rimane sempre incerto e con non poche incognite, variabili. Diversamente le rivoluzioni prevedono un piano, un programma, la costruzione d’una strategia e d’una eventuale élite di sostituzione, d’avvicendamento: tutto questo indipendentemente dalle modalità più o meno violente dell’evento rivoluzionario. Per i filosofi Georges Sorel, Henri Bergson ed Antonio Labriola occorrerebbe che la nuova classe sociale, che certamente si formerà da questo cataclisma reddituale e lavorativo, prenda coscienza del proprio punto di forza, di qual è il proprio “strumento di guerra sociale”.

Ad oggi non possono essere i soldi, poiché controllati dal potere finanziario, e nemmeno le braccia poiché poca cosa rispetto a forze armate e polizia controllate dai poteri forti. Anche internet viene ormai monitorata ed avversata dai padroni finanziari del mondo, gli stessi che hanno usato la rete solo per creare le “primavere arabe”: oggi s’inventano fantasmagorici attacchi informatici per ingabbiare la rete con norme liberticide. Ma questa non è la sede per rivelare l’asso nella manica degli oppressi: certi che lo scrivente non potrà mai schierarsi con i “padroni del nuovo ordine mondiale” e nemmeno con chi tiene le redini della “politica monetaria europea”.

Aggiornato il 20 maggio 2017 alle ore 16:55