Banche: chi sbaglia paga

Dal primo gennaio 2016 entrerà in vigore in Italia la nuova normativa europea sulla gestione delle crisi bancarie che prevede il cosiddetto bail in, cioè l’intervento di azionisti, obbligazionisti senior e correntisti con più di centomila euro nel salvataggio delle banche fallende per un ammontare pari almeno all’8 per cento degli attivi. Successivamente è previsto entri in azione il Fondo europeo salva-banche e in ultima istanza gli Stati potranno fare qualcosa.

Ci sono attualmente 348 miliardi di “sofferenze” delle banche italiane di cui non si sa cosa fare. Le sofferenze bancarie consistono in crediti deteriorati cioè mai pagati o in finanziamenti non rimborsati. Le famiglie non hanno restituito agli istituti di credito finanziamenti per 60 miliardi e le imprese non riescono a pagare rate per 288 miliardi. Si tratta di una montagna di miliardi di euro di cosiddetta “spazzatura” finanziaria di cui la Banca d’Italia, il ministero del Tesoro e la Cassa depositi e prestiti non sanno cosa fare. L’Europa tedesca, la stessa che si rivela tanto incapace con le invasioni dei migranti quanto rigorosissima nei controlli di ciò che fa l’Italia con le proprie banche e sofferenze, si è già detta contraria alla creazione di una unica asset management company cioè ad una unica bad bank o banca cattiva per tutte le sofferenze delle banche italiane. E’ in corso allora lo spacchettamento dei prestiti non rimborsati in più contenitori i quali verranno messi sul mercato con la copertura assicurativa della Cassa depositi e prestiti, precisamente attraverso la controllata della Cassa, la Sace, società specializzata nelle polizze.

Il salvataggio delle quattro banche fallite intanto, cioè Banca Marche, Cari Chieti, Carife e Pop Etruria, è avvenuto formalmente a carico di banche “salvatrici”, IntesaSanpaolo, Unicredit e Ubibanca, che danno circa 4 miliardi di euro in gran parte recuperati con gli sgravi fiscali Ires. All’utilizzo del Fondo di tutela di depositi si è opposto il “no” della stessa Europa. Tale operazione grava su tutti gli italiani dato che lo Stato incasserà meno Ires per 990 milioni e la Cassa depositi e prestiti “impegna” 400 milioni a garanzia della liquidità anticipata. Si tratta di un totale che è pari a quasi un miliardo e mezzo di euro che viene meno in un sol colpo, mancante per la collettività. Come sosteneva Guido Carli, i costi dei ritardi nel prendere decisioni superano di molto quelli del danno da riparare.

Specificamente si tratta di 3,6 miliardi che verranno messi in quello che è una sorta di salvadanaio costituito dal fondo di risoluzione nato in Banca d’Italia, il triplo di quanto già accantonato dai singoli istituti e inizialmente destinato al fondo interbancario. L’esborso è per Unicredit, Intesa, Banco Popolare e Ubi che avranno nel frattempo messo in piedi il prestito ponte, ma il salvataggio delle quattro banche fallite costerà alla collettività come a tutte le altre banche che contribuiranno pro quota alla costituzione del fondo con inevitabili impatti sul conto economico. Le Fondazioni azioniste, con il salvataggio delle tre società per azioni di Banca Marche, Carichieti e Carife, hanno visto già bruciare quasi 400 miliardi di euro. Sia chiaro che le banche cosiddette salvatrici non compiono nessun atto di generosità perchè il quadruplo fallimento di Banca Marche, Pop Etruria, CariChieti e CariFe avrebbe costretto il resto del sistema bancario a garantire i depositi fino a centomila euro e sarebbe stato un vero e proprio bagno di sangue da 12 miliardi di euro, mentre così l’intervento è di 3,6 miliardi.

Secondo Patuelli a capo dell’associazione bancaria italiana, si tratta di “una legnata per le banche italiane”. Egli ha anche constatato che ”i tedeschi possono salvare i propri istituti con i soldi pubblici e l'Italia no, non è possibile”. Quelle espresse da Patuelli sono critiche indirizzate verso l’esecutivo Ue, verso la Banca centrale europea, e verso il governo Renzi che non è stato in grado di fare passare un piano che avrebbe salvato i risparmiatori seguendo l’esempio dei salvataggi tedeschi. Ma anche l’Abi, che oggi mostra cotanta preoccupazione per gli effetti della direttiva europea approvata di corsa dal Parlamento, ha le sue responsabilità per non essere stata capace di tenere a freno funzionari delle banche inadeguati a valutare gli interessi generali del sistema bancario, distratti da piccoli particolari gestionali e mossi da interessi personali di vario tipo.

Quanto a “legnate”, si pensi a quelle prese dai risparmiatori traditi delle quattro banche fallite salvate, ovvero più di 728 milioni di obbligazioni subordinate andate in fumo con migliaia e migliaia di risparmiatori e pensionati gettati sul lastrico da mane a sera. E mentre i risparmiatori hanno visto azzerati i risparmi di una vita, Roberto Nicastro, ex direttore generale di Unicredit nominato adesso presidente delle quattro banche fallite ora salvate con i soldi di noi tutti, ci ha informati che saranno “possibili”, le azioni di responsabilità contro i vertici delle banche stesse che hanno dissipato i soldi che avrebbero dovuto custodire. È davvero un po’ pochino, parlare di “possibili” azioni contro i responsabili ai risparmiatori inferociti che dalla sera alla mattina hanno visto “piallati” i propri risparmi. Per non parlare del venire meno della “fiducia” che non si deve nutrire nei confronti di un sistema, quello bancario, in mano a chi prospera e su cui non si fa valere nessun controllo né tantomeno alcuna responsabilità. Dov’era e cosa faceva l’organo di controllo preposto ovvero la Banca d’Italia?

Non c’è ad oggi nemmeno nessun dettaglio in ordine a come le nuove banche cercheranno di ridurre il danno subito dai risparmiatori. La realtà è che le quattro banche fallite hanno dato prestiti a piene mani decisi dai manager come pareva a loro, in solitudine e fuori da qualsivoglia controllo, e dati a clienti non meritevoli, ad amici degli amici. Alla faccia della “sana e prudente gestione del credito” che dovrebbe caratterizzare il dovere di ogni banca e banchiere. Il meccanismo è oggi caratterizzato dalla dissociazione tra chi esercita il potere decisionale e chi sopporta la responsabilità finanziaria, dissociazione totalmente incoerente e irregolare alla luce di quanto previsto dagli stessi codici. Chi sbaglia paga, risponde di quanto fa e fatto.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:34