L’innovativo...

L’innovazione ha preso il posto, nell’empireo delle idee e degli ideali, di quelle che dominarono i secoli scorsi, restaurazione e rivoluzione. Non si tratta più di conservare tradizioni, costumi popolari, territoriali e spirituali. Nemmeno di rovesciare gli equilibri di potere, portare gli ultimi al posto dei primi, cacciare vecchi sistemi di pensiero e di organizzazione per sostituirli con nuovi. Si tratta di innovare, teoricamente e praticamente. La teoria la fornisce da lontano il guru dell’innovazione, Rifkin. La pratica, molto vicina, sta nella capitale tra i giovani (e no) del governo unsacccobello. Una pornostar in auge ha detto che il nuovo fascismo è l’anticapitalismo.

Il miglior capitalismo lo fanno i comunisti cinesi, ha detto il rettore di Hong Kong agli studenti in rivolta. Non dovete meravigliarvi se sono comunista ha detto il Papa ai rappresentanti dei movimenti senza diritto di rappresentanza dei non rappresentabili del mondo. Questa è vera innovazione. Che non si limita a declamare che destra e sinistra non esistono (cioè che borghesi conservatori e borghesi rivoluzionari sono la stessa cosa) e che sinistra e destra sono identiche ( cioè che non è ammissibile basare le opinioni sulle differenze di reddito). Cita Craxi “Il socialismo è per definizione anticapitalista” per poter sostenere a buona ragione che il socialismo è fascista.

L’innovazione, affamata anche se grassa e avida, anche se malata di gotta va oltre a qualunque costo. L’innovazione rende più sottili le cose sottili, più larghe le cose larghe, più piccole le cose microscopiche. Non cambia il colore lo rende più colorato, non rinnova la forma, la fa più formosa, non ritocca il materiale, lo fa più immateriale. Trasformazioni infinite che non cessano e non cesseranno in un processo neverending. Non contano, in fondo, né il risultato, né l’obiettivo, ma il processo innovativo in quanto tale che nell’immediato deve destare maraviglia e nel lungo periodo, per dovere d’inerzia, aumentare i profitti anche di soli pochi centinaia di euro sui milioni di fatturato, non perché i soldi servano a qualcosa ma solo per agitare la carota davanti alle ruote della finanza.

Il nuovo Marx, il francese Piketty potrebbe apparire un rivoluzionari o un restauratore delle teorie d’uguaglianza della vecchia sinistra; invece è un innovatore. L’economista nel capitalismo del XXI° secolo spiega come l’innovazione continua, nella sua rapidissima corsa, porti sempre più in alto il rendimento finanziario e sempre più in basso produzione e reddito. Le conseguenti ineguaglianze insostenibili travolgono non solo l’eguaglianza ma anche il suo opposto, meritocrazia. Rara dimostrazione dell’anticapitalismo del capitalismo. Non diversamente scrive Rifkin, nel suo “La Società a Costo Marginale Zero”. Per lo scrittore statunitense l’innovazione tecnologica è anticapitalista e antisocialista e distrugge, dei precedenti sistemi, le piramidi gerarchiche burocratiche, vuoi statali, vuoi di partito, vuoi di classe e relative famiglie.

Tra le tante diapositive presentate, l’innovazione mostra il sogno più antico dell’uomo, quello di eliminare dolore, fame, fatica. Comincia eliminando una delle condanne peggiori cui l’uomo, dopo la cacciata dall’Eden, è stato sottoposto, la necessità del lavoro. Rifkin racconta dell’agonia del capitalismo, soffocato dall’innovazione, senza neanche soffermarsi sulla lenta morte contemporanea della socialdemocrazia che pensava, con Pellicani, di tosare il capitalismo come una pecora. Prefigura un futuro di baratto collaborativo creative common che già oggi muoverebbe $ 2,2 miliardi in spese di funzionamento.

La progressiva fine dei cosiddetti costi marginali (do you remember Ricardo?), delle vischiosità inerziali dell’economia, del nonsense che tradizionalmente è stato per il popolo il commercio, conduce alla “Società a Costo Marginale Zero” nella quale la carota della finanza, del capitalismo e dei monopoli non smuoverà più l’asino. La sua teoria paradisiaca (e parecchio statalista) nel lungo periodo ha purtroppo un immediato dato infernale. L’auspicata sostituzione del lavoro retribuito con attività sociali nell’immediato si traduce in delocalizzazioni lontane dall’Occidente.

I consumatori produttori Prosumers, il commons collaborativo sociale e l’Internet of Things nelle comunicazioni, nell’energia e nella logistica promuovono da subito una dolorosa disoccupazione tecnologica. L’analista Usa è advisor dell’Unione Europea e di molti capi di Stato. Ha provato a divenirlo anche del premier Renzi nella Digital Venice dell’avvio di presidenza italiana del semestre europeo. Gli è stato assai facile, anche perché molto di quello che scrive oggi Rifkin lo si trova anche in Piena disoccupazione, volume edito nel 2007 da Narduzzi, ex Ad di Laziomatica (poi Lait) e capo della PippiPoggiani, poi catapultata all’Agid sulle ali di queste teorie, care ai giovani nipotini de Internetèun sacccobbelllo.

Ora, cosa unisce ugole d’oro e violini raffinati con i ragazzi con cuffia e microfono dei centralini? Lucidi pianoforti e potenti polmoni baritonali con le donne e gli uomini dei contact e call center? Cosa mette insieme il gesto dell’attorte con i pochi minuti se non secondi, ammessi e pieni di informazioni ed avvertenze commerciali? Cosa fa coincidere esperienze così diverse vissute dall’utente nel contatto più diretto e più lontano, assolutamente dal vivo o completamente da remoto? L’importanza del lavoro. A teatro, all’Opera, al call center, al Contact center, il conto economico è all’80% lavoro, come costo e profitto. Non c’è macchina da scena, software, illuminotecnica, webform che tengano.

L’innovazione ha guardato al lavoro, di qualità e di quantità, senza distinzioni tra maggiori e minori skill, tra estremo ed minimo professionale, tra durissima selezione e durissima esperienza sul campo. E minaccia di applicare la disoccupazione tecnologica per 181 orchestrali e coristi del teatro dell’Opera di Roma e per 300 operatrici di Almaviva Contact del centralino 060606 del Comune di Roma, per risparmiare qualche decina di milioni (che spreca da altre parti), rispettare i dettami del bando europeo Consip, le norme sugli appalti, o la corrispondente traduzione inglese di outsourcing.

L’innovazione ama l’outsourcing; poco o nulla, il lavoro, Proprio all’altezza di un padrone che licenzia parimenti, per donare loro tempo libero e capacità imprenditoriali, il centralinista ed il violinista. Nel caso il padrone è il sindaco Marino, quello, non solo per i casi qui riportati, dell’innovazione per antonomasia. Già malgovernato in passato, mai il Campidoglio, aveva avuto il governamolo strano. E’ un saccobelllo, bellezza.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 19:29