Una difesa liberista dell'euro/2

Continuiamo la pubblicazione in quattro puntate la relazione che il professor Jesus Huerta De Soto presenterà il prossimo 3 settembre a Praga in occasione della Riunione Generale della Mont Pèlerin Society.

3. L´Euro come “approssimazione” del Gold Standard (o Perché i Campioni della Libera Impresa e del Libero Mercato dovrebbero supportare l’Euro dato che l´unica alternativa é il ritorno al Nazionalismo Monetario)
Come abbiamo visto, gli economisti Austriaci difendono il gold standard perché frena e limita le decisioni arbitrarie dei politici e delle autorità. Disciplina il comportamento di tutti gli agenti che partecipano al processo democratico. Promuove l’abito morale del comportamento umano. In breve, scopre le bugie e la demagogia e favorisce e promuove la trasparenza e la verità nelle relazioni sociali. Niente più e niente meno. Probabilmente fu Ludwig von Mises ad esprimerlo al meglio :

«Il gold standard fa sì che la determinazione del potere di acquisto del denaro sia indipendente dalle cangianti ambizioni e dottrine dei partiti politici e dei gruppi di pressione. Questo non é un difetto del gold standard, bensì il suo principale pregio» (Mises 1966, 474).

L´introduzione dell´euro nel 1999 e il suo folgorante inizio nel 2002 significarono la scomparsa del nazionalismo monetario e del cambio flessibile in gran parte del continente Europeo. Più tardi considereremo gli errori commessi dalla Banca Centale Europea. Ora ciò che ci interessa è notare che i differenti stati membri dell´unione monetaria rilasciarono completamente e persero la loro autonomia monetaria, cioè, la possibilità di manipolare la moneta mettendola al servizio delle necessità politiche del momento. In questo senso, rispetto almeno ai paesi della zona euro, l´euro iniziò ad agire e continua ad agire come il gold standard ai suoi tempi. Così dobbiamo vedere l´euro come un chiaro, vero, sebbene imperfetto, passo verso il gold standard. Di più: l´arrivo della Grande Recessione del 2008 ha ulteriormente dimostrato ad ognuno di noi l’effetto disciplinante della natura dell’euro: per la prima volta i paesi dell’unione monetaria hanno dovuto confrontarsi con una profonda recessione senza l’autonomia di una politica monetaria interna. Sino all’adozione dell’Euro, quando una crisi mordeva, i governi e le banche centrali agivano invariabilmente alla stessa maniera: iniettavano tutta la liquidità necessaria, permettevano alla loro moneta di muoversi liberamente sui cambi internazionali e la deprezzavano, rimandando indefinitamente le necessarie e dolorose riforme strutturali che prevedevano la liberalizzazione dell´economia, la deregolamentazione, l´aumento della flessibilità dei prezzi e dei mercati (specialmente il mercato del lavoro), la riduzione della spesa pubblica e lo smantellamento dei sindacati e dello stato sociale. Con l’euro, nonostante tutti gli errori, le debolezze e le concessioni che discuteremo dopo, questo tipo di comportamento irresponsabile e di fuga dalla realtà non è più possibile.

Per esempio,  in Spagna, in solo un anno, due successive governi sono stati letteralmente forzati a prendere una serie di misure che, sebbene ancora insufficienti, fino ad ora sarebbero state considerate politicamente impossibili ed utopiche, perfino dagli osservatori più ottimisti:

1. l´articolo 135 della Costituzione é stato emendato per includere il principio anti-Keynesiano del pareggio di bilancio per il governo centrale, le comunità autonome e i comuni;

2. Tutti i progetti che implicano un aumento della spesa pubblica, dell’acquisto di voti, sussidi, progetti su cui i politici fondano la loro rielezione e popolarità sono stati sospesi;

3. gli stipendi di tutti i dipendenti pubblici sono stati tagliati del 5% e poi congelati, mentre l´orario di lavoro è stato esteso;

4. Le pensioni e la sicurezza sociale sono state, di fatto, congelate;

5. L’età pensionabile é stata alzata a 67 dai 65 anni;

6. La spesa totale pubblica é stata diminuita più del 15%  e

7. Una significativa azione di liberalizzazione é stata avviata nel mercato del lavoro, nell´orario di lavoro, e in generale,nel groviglio della regolamentazione economica.

Inoltre, quello che sta accadendo in Spagna sta avvenendo anche in Irlanda, Portogallo, Italia, e perfino in paesi che, come la Grecia, sino ad ora hanno rappresentato il paradigma del lassismo sociale, dell’assenza di rigore di bilancio e della demagogia politica. Quello che é ancora più importante é che i politici di questi cinque paesi, ora non  più nelle condizioni di manipolare la politica monetaria così da mantenere i cittadini nel buio circa i costi reali delle loro politiche, sono stati  cacciati in modo sommario dai loro rispettivi posti di governo. E Stati che, come il Belgio e specialmente la Francia e l´Olanda, fino ad ora erano apparsi sempre immuni dalla necessità delle riforme, vengono forzati a riconsiderare i fondamentali dei volumi delle loro politiche di spesa pubblica e della situazione reale del loro tanto amato stato sociale. Questo é oramai evidente a tutti, grazie alla struttura monetaria introdotta con l’euro, e così dovrebbe essere vista con eccitazione e rinata gioia da tutti i campioni dell´economia della libera impresa e del governo minimo. Dal momento che sarebbe estremamente arduo concepire come tali misure possano essere intraprese in un contesto di moneta nazionale e di cambi flessibili: ogni volta che possono i politici rigettano le riforme impopolari e tutto ciò che comporta sacrificio e disciplina da parte dei propri cittadini. Da qui, in assenza dell’euro, le autorità avrebbero di nuovo intrapreso quello che è sempre stato il cammino normale, ovvero la fuga attraverso una maggiore inflazione, la svalutazione della moneta locale per arrivare alla “piena occupazione” e riguadagnare competitività nel breve termine (coprendosi le spalle e nascondendo la grave responsabilità dei sindacati come i veri generatori della disoccupazione) e in breve, rimandare indefinitamente le necessarie riforme strutturali.

Concentriamoci ora su due aspetti significativi sull’unicità dell’euro. Li contrasteremo entrambi con il sistema delle monete nazionali legate tra loro con i cambi fissi e con quello dello stesso gold standard, iniziando con quest’ultimo. Dobbiamo però notare come abbandonare l’euro oggi sia molto più complesso che abbandonare il gold standard ieri. Infatti le monete legate all’oro ritenevano la loro denominazione (il franco, la sterlina, etc. etc.) e così fu relativamente facile, durante tutti gli anni Trenta, disancorare queste dall’oro fino a quando gli agenti economici, così come indicato dal teorema di regressione di Mises formulato nel 1912 (Mises 2009 [1912], 111-123), continuavano ad usare la moneta nazionale senza interruzione, sebbene non fosse più scambiabile con oro, confidando sul potere di acquisto della moneta pari a quella che aveva giusto prima della riforma. Oggi questa possibilità non esiste per quei paesi che desiderano, oppure sono obbligati, ad abbandonare l’euro. Dato che è l’unica moneta accettata da tutti i paesi dell’unione monetaria, il suo abbandono richiede l´introduzione di una nuova moneta con un minore e sconosciuto potere di acquisto, moneta che provoca necessariamente l’emersione di immense distorsioni che il cambio comporterà per tutti gli attori del mercato: debitori, creditori, investitori, imprenditori e lavoratori. Almeno in questo specifico senso e dal punto di vista dei teorici Austriaci, dobbiamo ammettere che l’euro sorpassa il gold standard e che sarebbe stato molto utile per l’umanità se negli anni Trenta i differenti paesi coinvolti fossero stati obbligati a stare nel gold standard, perché, così com´è oggi con l’euro, ogni altra alternativa sarebbe stata praticamente impossibile da adottare e avrebbe ovviamente provocato danni e sofferenze molto maggiori.

Da qui, per certi versi è affascinante (nonché patetico) notare come le legioni di ingegneri sociali e di politici interventisti, i quali, guidati in passato da Jacques Delors, progettarono la moneta unica come un ulteriore strumento da utilizzare per la grandiosa costruzione dell’unione politica dell’Europa, ora osservino con disperazione qualcosa che non avrebbero mai immaginato: l’euro é di fatto un gold standard che disciplina i cittadini, i politici e le autorità e che lega le mani ai demagoghi, esponendo i gruppi di pressione (guidati dagli infaticabili privilegiati sindacati) e perfino mette in questione la sostenibilità e le fondamenta dello stato sociale. Secondo la scuola Austriaca, questo é esattamente il principale vantaggio comparativo dell’euro come standard monetario in generale, e contro il nazionalismo monetario in particolare, questo e non altri prosaici argomenti come “la riduzione dei costi di transazione” o “l´eliminazione del rischio di cambio” che vennero all’epoca sbandierati dall’immancabile corta veduta degli ingegneri sociali del momento.

Ora passiamo a considerare la differenza tra l’euro ed un sistema a cambi fissi rispetto ai processi di aggiustamento che avvengono quando diversi gradi di espansione creditizia si verificano in paesi differenti. Ovviamente, in un sistema di cambi fissi, queste differenze si manifestano in sostanziali tensioni sui cambi che eventualmente terminano con esplicite svalutazioni e alti costi in termini di perdita di prestigio che, fortunatamente, vengono trasferiti sulle corrispondenti autorità politiche. Nel caso di una moneta unica, come l’euro, queste tensioni si manifestano in generale nella perdita di competitività, che può  essere recuperata solo con l’introduzione di riforme strutturali necessarie a garantire la flessibilità del mercato, insieme alla deregolamentazione di tutti i settori e la riduzione e gli aggiustamenti necessari della struttura dei prezzi relativi.

Ancora, tutto questo termina influenzando i ricavi del settore pubblico, quindi il rating del suo credito. Infatti, sotto le presenti circostanze, nell’area euro, il valore attuale nei mercati finanziari di ogni debito sovrano è andato riflettendo le tensioni tipiche delle crisi in regime di cambio fisso, quando i rapporti di cambio di ogni moneta nazionale erano bene o male fissati; per cui, a questo punto, il ruolo centrale non è più dello speculatore monetario internazionale ma delle agenzie di rating e, specialmente, degli investitori internazionali che, comprando o no il debito sovrano, disciplinano e determinano il destino di ogni paese.  Questo processo potrà essere definito “anti-democratico”, ma è infatti l´esatto opposto. Nel passato, la democrazia soffriva cronicamente ed era corrotta dalla politica irresponsabile fondata sulla manipolazione monetaria e sull’inflazione, una tassa occulta devastante che veniva imposta fuori dal parlamento a tutti i cittadini in modo graduale, nascosto e contorto. Oggi, con l’euro, il ricorso alla tassa dell´inflazione è stato fermato, almeno a livello di singolo paese ed improvvisamente i politici sono stati scoperti ed obbligati a dire la verità e ad accettare la corrispondente perdita di prestigio. Da qui la successiva caduta dei governi dell’Irlanda, Grecia, Portogallo, Italia, Spagna e Francia, che ha dimostrato l’esatto contrario di una caduta di democrazia e che invece ha manifestato un elevato livello di rigore, trasparenza di bilancio e salute democratica che l’euro sta incoraggiando in ogni rispettiva società.

4. L’eterogenea coalizione “anti euro”
Sarebbe interessante e molto illustrativo se dovessimo, ora, anche solo brevemente, commentare la varia e disparata amalgama di nemici dell’euro. Questo gruppo include nelle sue fila elementi così diversi tra loro come dogmatici di estrema destra, nostalgici o inflessibili keynesiani come Krugman e Stiglitz, monetaristi che sostengono i tassi flessibili di cambio, come Barro e altri, sostenitori ingenui della teoria delle arie valutarie ottima di Mundell, sciovinisti terrorizzati dal dollaro (e della sterlina) e in breve, la legione di disfattisti confusi che “di fronte all’imminente scomparsa dell’euro” propone la “soluzione” di farlo saltare in aria e abolirlo il più presto possibile.

Forse l’esempio più chiaro (o meglio, la più convincente prova) del fatto che Mises avesse completamente ragione nella sua analisi in materia degli effetti dei tassi di cambio fissi, specialmente del Gold Standard, sulla demagogia politica e sindacale sta nel modo in cui i leader dei partiti politici di sinistra, i sindacalisti, gli opinionisti “progressisti”, gli indignati contro il sistema, i politici di estrema destra e, in generale, tutti gli appassionati della spesa pubblica, dei sussidi statali e dell’interventismo si ribellano apertamente e direttamente alla disciplina che impone l’euro e, in particolare, alla perdita di autonomia nella politica monetaria di ogni paese e a ciò che questo implica: la tanto vituperata dipendenza dai mercati, dagli speculatori e dagli investitori internazionali quando si tratta di essere in grado (o meno) di vendere il crescente debito pubblico richiesto per finanziare i continui deficit. Basta uno sguardo agli editoriali dei giornali più di sinistra [12] o una lettura delle dichiarazioni dei politici più demagoghi [13] o dei sindacalisti di punta, per osservare che è così e che oggi, proprio come nel 1930 con il gold standard, i nemici dei mercati e i difensori del socialismo, dello stato sociale e dei sindacati stanno protestando all’unisono, sia in pubblico che in privato, contro la “rigida disciplina che l’euro e i mercati finanziari stanno imponendoci” e stanno chiedendo la monetizzazione immediata del debito pubblico, senza alcuna contromisura sotto forma di austerità di bilancio o riforme che aumentino la competitività.

Traduzione di
Francesco Simoncelli, Antonio Manno, Nicolò Signorini e Luigi Pirri

2/continua

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:35