Non sarà Hollande a salvare l'euro

In Italia, soprattutto a sinistra, in molti si sono buttati a capofitto su una certa illusione determinatasi in Europa con la vittoria del socialista Hollande nelle presidenziali francesi. Illusione che, occorre riconoscere, era già stata ampiamente demolita intellettualmente dallo sconfitto Sarkozy nel corso di uno degli ultimi dibattiti elettorali. In sostanza, il presidente uscente ha dichiarato che, una volta giunto nella stanza dei bottoni, neppure Hollande farebbe concretamente qualcosa per caricare anche sulla Francia il debito degli altri paesi. 

Infatti, e su questo da noi esiste molta confusione, quando si invocano politiche europee assai più elastiche sul fronte finanziario, il risultato è inevitabilmente quello di spalmare su tutti i membri l'indebitamento complessivo dell'area euro, penalizzando ovviamente gli stati più solidi, come appunto Francia e Germania. In altri termini, sia agendo dal lato della Bce, attraverso un drastico aumento della moneta circolante, e sia emettendo i tanto invocati eurobond, si otterrebbero due effetti assolutamente nefasti: a) il conseguente processo inflattivo indebolirebbe l'intero sistema, causando non pochi problemi anche ai paesi più forti. b) Una ulteriore espansione finanziaria della zona euro, basato solo su nuovi debiti, incoraggerebbe ancor di più la politica del cosiddetto deficit-spendig a proseguire lungo la strada del dissesto economico, continuando a squilibrare le singole economie attraverso una dissennata azione di sostegno artificiale della domanda. 

Ma è proprio questo ultimo aspetto che fa particolarmente gola a tanti politici di professione, tra cui spicca il segretario Bersani, in prima linea ad arruolare il neo-presidente francese nel molto trasversale partito keynesiano. L'idea sarebbe quella di sempre. Ossia ottenere consenso attraverso una generale elargizione di risorse. Esercizio, quest'ultimo, comunemente e nobilmente definito come redistribuzione della ricchezza. Solo che, non essendoci praticamente più nulla da distribuire, visto che le risorse che assorbe la spesa pubblica e il debito sono tali da far rischiare l'inceppamento del nostro intero sistema, l'ultima spiaggia che rimane ai politici di questo sinistro orientamento è quella di una ulteriore espansione dell'economia di carta. Per questo, quando entrammo nell'euro, scrissi che ciò rappresentava un azzardo per un paese governato, a partire dai primi anni Sessanta dello scorso secolo, da una logica monetaria irresponsabilmente espansiva. 

Da questo punto di vista, lo standard relativamente rigido dell'euro poteva e può costituire uno stimolo a rendere virtuosi i singoli governi, oppure - come è purtroppo avvenuto in molti casi - un pericoloso ombrello per dilatare, grazie ad un periodo iniziale di tassi particolarmente bassi, ulteriormente la spesa pubblica in eccesso. Ebbene, la sinistra italiana e buona parte della politica di professione vorrebbero piegare la filosofia che guida la moneta unica, sull'onda della vittoria socialista in Francia, verso quest'ultima direzione. Tuttavia, con più moneta e con più debiti si potranno acchiappare voti, ma non certamente riprendere la strada della crescita. Sarebbe il caso di rifletterci.

Aggiornato il 01 aprile 2017 alle ore 18:29