Per giudicare, confrontare

Quando leggiamo testi antichi, moderni, contemporanei che siano, bisognerebbe leggerli comparativamente. Perché lo dico? Per non precipitare in un duplice errore: ingigantire il passato o ingigantire il presente. Con una precisazione fondamentale: non è che il passato vale in quanto passato, vale in quanto vale. Aureolare il passato è un criterio difettivo di giudizio, come a dire che gli antichi erano straordinari in quanto antichi, noi non valiamo. Ciò riguarda l’opposto: gli antichi non volevano, noi valiamo. Leggere soltanto moderni o contemporanei senza paragoni con gli antichi, può annientare la validità del giudizio. Per una ragione del tutto odierna: la presenza della comunicazione di massa e la possibilità immane nella diffusione. Si crea un fenomeno specifico dell’era contemporanea, ovvero, la quantità diventa qualità. L’ascoltatore (colui che vede) formula questa considerazione: se un’opera è diffusa nella comunicazione di massa, significa che vale o vale in quanto diffusa nelle comunicazioni di massa. Entrambi i giudizi sono perversi.

Giacché non si considera un ulteriore carattere della contemporanea, la reclamizzazione. L’abbinamento consociativo tra diffusione massificata e reclamizzazione altera il giudizio personale o, meglio, lo conforma. L’individuo non si sente in grado di contrapporsi a una comunicazione così gigantesca oltretutto spesso ripetuta e, come dicevo, si conforma. C’è un mezzo per infrangere questa distruzione della cultura? A mio giudizio, uno, cruciale: leggere comparativamente, un classico e un contemporaneo. Le persone non nascono conformiste, lo diventano perché mancano di conoscenza comparativa. Se in una medesima lezione leggo, poniamo, non proprio un antico, comunque secolare, l’episodio di Rinaldo nella selva incantata, Gerusalemme liberata, si coglie che Torquato Tasso narrando accresce arricchendo non prolungando e soprattutto ha fiato vasto di poetica.

Intendiamoci: un quasi nostro contemporaneo, comunque moderno, Giacomo Leopardi fu breve e limpido, lirico, conseguenziale, concettuale. Ho conoscenza della contemporaneità, con minime presenze: questo duplice modo di versificare, narrativo evolvente, lirico concettuale è rarissimo. Perché? Perché la comunicazione campeggia in gran misura sull’espressione. Ma se il lettore è plateale, lo scrittore si adegua e sostituisce il parlato corrente all’espressività accrescitiva come in Tasso, o lineare e cristallina come in Leopardi. Basta leggere per coglierne la differenza. Ma cogliendo la differenza cerchiamo di fare del nostro meglio. Ne vale la pena? E che vale la penna di fare se non ciò che sentiamo di fare? Tra poco leggerò il Fedro di Platone e Piccolo mondo antico di Antonio Fogazzaro. Che Giove e Dio mi siano propizi.

Aggiornato il 10 ottobre 2025 alle ore 17:59