Visioni. “The Bear 4”, una dolorosa riflessione sull’imponderabilità del successo

Carmy Berzatto (un tormentato Jeremy Allen White) è alle prese con la sfida più ardua. Deve riuscire a tenere aperto il ristorante The Bear nonostante l’aspetto finanziario sia tutt’altro che florido. La quarta stagione della serie tivù pluripremiata (composta da dieci episodi), prodotta da FX e creata da Christopher Storer, celebrata da critica e pubblico, visibile sulla piattaforma streaming Disney+, sul canale Star Original, è una dolorosa riflessione sull’imponderabilità del successo. Sul set si sono cimentati due consulenti gastronomici: Courtney Storer (sorella dello showrunner) e Matty Matheson, chef nella vita e produttore esecutivo, che nella serie interpreta il divertente personaggio del tuttofare Neil Fak. La sinossi del quarto capitolo narra di una comunità più riflessiva, quasi rassegnata. La tanto attesa recensione del Chicago Tribune sul locale è ambivalente: esalta la qualità del cibo e il servizio dei panini d’asporto, ma disapprova l’incoerenza del menù e il caos che regna perenne. A questo punto, intervengono il finanziatore del ristorante, lo “zio” Jimmy “Cicero” Kalinowski (un cupo Oliver Platt) e il fidato Nicholas “Computer” Marshall (il saccente Brian Koppelman).

Comunicano allo staff che il tempo per risollevare le sorti del locale si sta esaurendo. Per essere più espliciti, installano un orologio in cucina che scandisce le ore mancanti alla possibile chiusura. Un inesorabile conto alla rovescia. Se il bilancio non migliorerà, “Cicero” sarà costretto a vendere l’attività. Carmy e la sous chef Sydney (una logorroica Abby Elliott) accettano al sfida e rilanciano: vogliono puntare all’ottenimento di una stella Michelin. Per queste ragioni, l’organizzazione deve fare un salto di qualità. Infatti, Richie (un amletico Ebon Moss-Bachrach) assume tre ex collaboratori della chef stellata Andrea Terry (Olivia Colman): Jessica (Sarah Ramos), Garrett (Andrew Lopez) e Rene (Rene Gube). “I ristoranti possono far felici le persone, noi possiamo farle felici”, sostiene convinto Carmy. Ma i suoi travagli interiori, dovuti alla complessa relazione sentimentale con Claire (un’angelica Molly Gordon) e ai sensi di colpa che gli derivano da madre disfunzionale (una magnifica Jamie Lee Curtis) e il ricordo del fratello suicida Michael (uno struggente Jon Bernthal), gli impediscono di dedicarsi completamente alla sua passione totalizzante.

Questa condizione lo porta a riflettere sul un possibile futuro lontano dalla cucina. Per lo chef ogni giorno sembra identico al precedente. È convinto di vivere letteralmente una crisi da “giorno della marmotta”. Si addormenta sul divano e si risveglia mentre in tivù trasmettono proprio il film di culto del 1993, Ricomincio da capo (Groundhog Day) di Harold Ramis. Intanto, Sydney, il cui padre vive una complessa condizione di salute, è tentata da un’allettante proposta di lavoro dello chef stellato Adam (un petulante Adam Shapiro). Natalie (una dolente Abby Elliott), l’amministratrice e sorella di Carmy, appena diventata madre della piccola Sophie, conduce l’improba missione di infondere calma e serenità. Richie vive una profonda crisi nella dimensione privata, in particolare con la figlia Eve (Annabelle Toomey). Oltretutto, l’ex moglie Tiffany (una disorientata Gillian Jacobs), che si sta per risposare con il ricco Frank (un magnetico Josh Hartnett), invita l’intera brigata del ristorante alle proprie nozze.

Nonostante siano evidenti le premesse per una miscela esplosiva, il banchetto nuziale si rivela, inaspettatamente, un grande successo. Richie e Frank si chiariscono per amore di Eve, Carmy balla romanticamente con Claire. Addirittura, lo zio Lee (un memorabile Bob Odenkirk), mostra a Carmy il proprio lato più affettuoso. L’unico a non accusare alcuna fatica è Ebra (Edwin Lee Gibson), lo chef del The Original Beef of Chicagoland. I suoi panini d’asporto sono sempre più graditi. Al suo cospetto, si presenta Albert Schnurr (il grande attore-regista Rob Reiner), un divertente mentore che gli consiglia di puntare sul minimalismo commerciale. Un fatto è evidente. La quarta stagione di The Bear, pur mostrando un inevitabile slabbramento narrativo, appare meno nevrotica delle precedenti, delineando un quadro d’insieme più placido. Anche se il ritmo è meno sincopato del solito, la messa in scena risulta più commovente. Forse più statica, quasi teatrale, cadenzata da primissimi piani dei protagonisti e dialoghi fitti e taglienti che hanno l’obiettivo di creare una maggiore empatia con lo spettatore.

(*) La recensione delle due prime stagioni della serie tivù The Bear

(**) La recensione della terza stagione della serie tivù The Bear

Aggiornato il 03 ottobre 2025 alle ore 18:51