
La mia amica Zoe di Kyle Hausmann-Stokes (in uscita nelle sale italiane dall’11 giugno) è un film opera prima di un ex militare sui reduci delle guerre americane dal Vietnam fino all’Afghanistan e all’Iraq, affetti da “Post-traumatic stress disorder” (Ptsd, acronimo inglese della Sindrome post-traumatica da stress). Solo che, stavolta, a vestire la divisa sono due belle ragazze, Merit (Sonequa Martin-Green), esperta meccanica e affetta da Ptsd come reduce dall’Afghanistan, e Zoe (Natalie Morales), la sua collega-amica inseparabile che non ce l’ha fatta a rientrare nella vita civile.
Hausmann-Stokes parte dalle storie reali per indagare sulle perturbazioni permanenti e, sostanzialmente irreversibili, indotte all’interno delle strutture relazionali amicali e familiari dalle decine di migliaia di suicidi post “9/11” dei reduci americani. In base alle statistiche ufficiali, più di 30mila di loro si sarebbero suicidati nel periodo successivo all’11 settembre 2001, dopo l’attentato alle Torri Gemelle, triplicando i 9.000 suicidi precedenti dei reduci dal Vietnam, così come contabilizzati fino ai primi anni Ottanta. Ora, si può leggere in trasparenza, confrontando la storia di Merit e del suo profondo legame con il nonno materno Dale (Ed Harris), tenente colonnello reduce del Vietnam, come le nuove generazioni di combattenti (in cui è molto più alto, rispetto al passato il tasso di femminilizzazione, praticamente in precedenza inesistente sotto il profilo “ready-to-combat”) appaiano molto più fragili rispetto a quelli della leva degli anni Cinquanta. Forse, perché nessuna delle guerre combattute e perse senza molto onore dall’America si è rivelata “giusta”, come lo fu in questo secolo (ormai al tramonto) di Pax americana, la Seconda Guerra mondiale contro il nazismo e il Giappone.
Ora, come accade nel bel film “Collateral Beauty”, in cui il padre della bambina non riesce a dire il nome di sua figlia, morta per un tumore cerebrale, anche Merit, all’interno del gruppo di sostegno per reduci, riconosciuti affetti da Ptsd, non riesce mai a pronunciare il nome dell’amica scomparsa. Malgrado le sue reticenze, è il Dr. Cole (Morgan Freeman), counselor del gruppo di sostegno, a farsi carico, con grande perseveranza e pazienza, di creare il collegamento mancante tra il presente e il passato di Merit, semplicemente restando in attesa degli eventi. Ma Zoe non è solo un interdetto, perché il suo fantasma è una presenza costante e molto “concreta” nella vita dell’amica, che continua a dialogare con lei nelle più disparate situazioni e scene dal quotidiano, perpetuando nel fantasmatico del vissuto la relazione amicale e di forte complicità, che le ha viste inseparabili nel periodo della loro missione in Afghanistan.
E quando la pressione generata dal principio di realtà si fa insopportabile, allora Merit, per tenere sotto controllo lo stress facendo leva sulla fatica fisica, indossa le sue scarpette da runner dopo averle militarmente lucidate, e inizia a correre in città come in campagna, dove il nonno ha una grande casa in riva al lago. Sarà, tuttavia, la forza dei fatti concreti, come l’interesse per un coetaneo che gestisce una casa di riposo per persone benestanti, e il dovere di badare a un nonno con un leggero Alzheimer in fase iniziale, a riportare Merit all’esame di realtà. Liberandola così dal senso di colpa per aver trascurato, una volta tornate entrambe alla vita civile, la sua commilitone Zoe, tanto estroversa e sicura di sé in divisa, quanto fragile e scompensata nel mondo di fuori.
Hausmann-Stokes costruisce questa sua opera prima un po’ come una sorta di album delle figurine “spot”, avvalendosi della sua esperienza nella direzione di messaggi multimediali pubblicitari per importanti brand, volendo fare qui la stessa cosa per la “Veterans Media Entertainment”, di cui il regista è il co-fondatore, che organizza proiezioni, eventi e l’interazione con altre realtà di ritrovo, in cui al centro di tutto vi è la condizione materiale e psichica dei veterani e delle loro interazioni con i rispettivi ambienti familiari. Ma, nel confronto tra il burbero e coriaceo Dole e la nipote Merit, forse il ragionamento critico che resta da fare verte proprio sugli aspetti ridondanti di questo iper-trattamento psicologico della personalità del reduce, per cui, se proprio si dovesse dare un consiglio, dal punto di vista istituzionale sarebbe preferibile che alle sedute psicoterapiche di autocoscienza si affiancassero e si sostituissero attività “concrete” di gruppo, per la risoluzione di problemi pratici, come avveniva ai tempi della naia.
Sempre in ipotesi, aspetto già preso in considerazione da Clint Eastwood nel film American Sniper, i reduci Ptsd potrebbero trovare utile impiego all’interno del quadro di attività della protezione civile americana, locale e nazionale, e nella riabilitazione di giovani disadattati (maschi e femmine) provenienti dalla vita civile e da quartieri a rischio delle principali realtà urbane statunitensi.
Aggiornato il 06 giugno 2025 alle ore 12:18