“Ho paura torero”: la Fata dell’angolo

La “sartoria delle diversità”: così, si può sintetizzare la trasposizione teatrale dell’opera letteraria di 200 pagine di Pedro Lemebel Ho paura torero, in scena al Teatro Argentina fino al 17 aprile, per la regia di Claudio Longhi, con protagonista e dramaturg Lino Guanciale, en travesti nel ruolo Fata dell’angolo, personaggio queer e fine ricamatrice cilena, ai tempi del regime di Augusto Pinochet. Accanto alla Fata si muove una piccola comunità di stagionate travestite, la Rana e la Lupe (interpretate, rispettivamente, da Michele Dell’Utri e Daniele Cavone Felicioni), sempre a caccia di uomini nei bassifondi di Santiago. La costruzione scenografica, articolata su due livelli, si avvale di macchine di scena che avanzano e retrocedono sul piano della rappresentazione, con tendine scorrevoli che fanno da schermo per la proiezione di effetti speciali. Sui carrelli mobili sono montate suppellettili e dormeuse da studio di psicanalisi, dove è disteso con la sua divisa gallonata il noto dittatore, assillato dalla presenza costante di sua moglie, Doña Lucía (Diana Manea, irresistibile nel ruolo), donna petulante e specchio magico dei difetti caratteriali e posturali di suo marito. Il titolo dello spettacolo è di per sé anche un pegno simbolico d’amore, una parola d’ordine segreta e carbonara per distinguere il militante rivoluzionario dalla spia. La Fata ha una storia familiare terribile alle spalle, con un padre che, una volta scoperta la sua omosessualità, la violentava e picchiava per ricondurla alla normalità di quel mondo maschile al quale avrebbe dovuto appartenere. Fuggito di casa, lo sfortunato protagonista raggiunge la propria indipendenza con lavoretti da ricamatrice, rivendendo le sue tovaglie alla classe borghese medio-alta, che comprende (ovviamente) le mogli dei generali golpisti cileni.

Ambientato nell’umile appartamento della Fata, la storia si svolge all’interno delle vicende storiche cilene del 1986, con le sue manifestazioni studentesche contro il regime, seguite dalla violenta repressione dei militari. Poi, i racconti drammatici sui desaparecidos, con le loro madri che manifestano nelle piazze alla ricerca disperata dei figli svaniti nel nulla, battendo disperatamente i pugni sui portoni di ferro dietro i quali sono racchiusi i segreti di regime, gli interrogatori e le torture praticate sui figli scomparsi. Loro, sono le donne indifese che sfidano i reparti antisommossa, cadendo a terra senza mai lasciarsi sfuggire di mano la foto degli scomparsi serrata al petto, di cui una di queste va a finire nelle mani della Fata, che se la riporta a casa come una reliquia. Ho paura torero (parole tratte da una languida canzone dell’epoca) è la storia d’amore tra un travestito in disarmo, che si trova a mettere a disposizione gratuitamente la soffitta della sua umile abitazione a un sedicente studente, Carlos (Francesco Centorame). Un militante del Fronte patriottico Manuel Rodríguez, alla ricerca di un covo insospettabile per le sue riunioni clandestine e per il deposito delle armi del gruppo, sistemate in capienti casse, che costituiranno l’arredo provvisorio e precario della casa fatata. Ai dialoghi-monologhi d’amore della Fata e della sua passione non corrisposta nei confronti del giovane Carlos, che intrattiene una relazione con una compagna rivoluzionaria, fa da contraltare la vita familiare agiata dei coniugi Pinochet, ritratti nelle loro combinazioni private di coppia e nei ricevimenti ufficiali.

I vari personaggi si raccontano alternativamente in terza e prima persona, mentre altre voci narranti ricostruiscono i fatti storici del tempo, in cui i protagonisti sono le classi popolari vittime del regime. La regia restituisce con rigorosa precisione la figura tragica e ridicola del generale Augusto Pinochet (interpretato da Mario Pirrello), così come disegnata in modalità altamente dissacrante nell’opera letteraria di Lemebel, contrapposta a quella patetica, ma intensamente poetica, della Fata e del suo amore incondizionato, che si prende tutti i rischi della collateralità con l’attività di un gruppo rivoluzionario, senza chiedere nulla in cambio. Un altro tipo di dramma politico e sociale, a danno del futuro e della gioventù di un Paese intero, si consuma nella villa lussuosa del dittatore e del suo buen retiro di Cajón del Maipo, che domina Santiago dall’alto, popolata di lacchè e di fantasmi che perseguitano i sogni pomeridiani del dittatore, con particolare riferimento a certi suoi gusti particolari, nei confronti di avvenenti cadetti. Poi, dopo il fallito attentato a Pinochet, da cui il dittatore esce miracolosamente illeso, come Adolf Hitler nella Tana del lupo, le cose precipitano e i guerriglieri del Fronte patriottico, di cui fanno parte gli attentatori che si sono tutti messi in salvo, Carlos compreso, sono costretti ad abbandonare in fretta e furia i loro covi clandestini. Tra questi, ovviamente, c’è la casa insospettabile della Fata che, a questo punto, chiede come unica contropartita per il suo sostegno rivoluzionario (involontario!) di vedere un’ultima volta il suo Carlos. Uno spettacolo affascinante: una grande prova d’amore.

(*) Foto di Masiar Pasquali

Aggiornato il 08 aprile 2025 alle ore 17:01