Vivere all’ombra della memoria di un fratello caduto in guerra, sempre presente nella sua assenza, considerarsi “la rappresentazione vivente dello sradicamento ebraico, di una snervante incapacità di sentirsi appartenente a un luogo, a un Paese, a una città”, in fuga dalle radici e indotto dagli eventi e da un bisogno inconscio di fare ritorno “a casa”. Tutto questo grava sul bagaglio emotivo di Emanuel Rosenthal, protagonista di Nell’attesa del Messia, secondo romanzo di Niram Ferretti. La vicenda si snoda in una narrazione in prima persona collocata temporalmente nell’agosto 2001 in una Gerusalemme teatro degli attentati terroristici della Seconda Intifada, dove Emanuel fa ritorno dopo la morte della madre, per vendere la casa in cui è nato e adempiere una promessa fatta. Ma non solo. Anche per proseguire il processo di riconciliazione con la parte mancante di sé stesso, rappresentata dal fratello Gabriel, morto in combattimento nella Guerra dei Sei giorni. Emanuel Rosenthal è uno scrittore reduce dal successo internazionale riscosso con un romanzo incentrato sulla figura di Sabbatai Zevi, un qabbalista che si autoproclamò Messia.

E in Israele, a un giorno dal suo arrivo, per un gioco di coincidenze il protagonista riceve dallo zio Elio una foto mai vista di Gabriel e decide di recarsi sulla sua tomba, iniziando così quel percorso di pacificazione con sé stesso e infrangere l’irrisolto cristallizzato da tempo. Questo viaggio a Gerusalemme potrebbe essere definito un viaggio della nostalgia, una sorta di movimento in avanti, tornando poi indietro dove tutto ha avuto inizio: il luogo natale, quello dell’origine, ora smarrito ed estraneo, ma pur sempre caratterizzato da intimità e appartenenza, sentimento quest’ultimo che è sempre stato estraneo a Emanuel. Eppure, l’origine è la meta e se qualcosa manca è perché prima è stata posseduta e poi perduta, prima saggiata e poi abbandonata. In fondo, il protagonista è un nostalgico, cerca ciò che gli manca, ciò che non possiede. Nell’ebraismo, il futuro è l’attesa del Messia che consentirà il raggiungimento della perfezione e della conoscenza. Ma il futuro, una porzione di tempo ancora inesistente, ha la dimensione di un sogno, nebuloso e sospeso, seppur proteso a un progresso verso la perfezione a cui tutti sono chiamati.

Il calendario ebraico è scandito da festività che hanno riferimento all’avvicendarsi delle stagioni. Una ciclicità in movimento, un movimento progressivo verso il futuro. La ciclicità è il tempo della vita, la nostra di esseri umani. Il futuro è “una terra incognita, è un vuoto privo di sostanza” e il presente è “un coagulo di memoria fatto di ciò che è stato”. Il futuro “redento” in cui credevano Sabbatai Zevi e il suo profeta Nathan di Gaza è rimasto sospeso e non è mai arrivato, “resta una chimera”. E credere che il mondo un giorno sarà redento, guarito dal male, liberato dalla violenza, dall’ingiustizia e dalla morte e che il male verrà eliminato è pura illusione oppure è “davvero la consapevolezza che la storia non è nelle nostre mani che in essa agisce la presenza di una forza verso cui tutto è diretto?”. Il futuro non come un tempo omogeneo e vuoto, ma inteso come “la piccola porta da cui potrà entrare il Messia”, parafrasando le parole del filosofo tedesco Walter Benjamin, e questa porta la si potrà aprire in qualsiasi tempo e luogo. Un ironico detto ebraico afferma che “il Messia non è ancora venuto perciò si può ancora sperare”.

(*) Nell’attesa del Messia di Niram Ferretti, Historica Edizioni 2025, 155 pagine, 16 euro.

Aggiornato il 19 febbraio 2025 alle ore 13:02