![Sanremo 2025, top e flop della serata cover](/media/8310453/opinionefoto_20250215154921401_9adddbfb89bbde626fdcf63594559801.jpg?crop=0.0579211790693641,0.020398241671567868,0.11781588802045445,0.054881469217355386&cropmode=percentage&width=370&height=272&rnd=133841104390000000)
Nel Festival della restaurazione torna anche la tradizione del podio già scritto, infatti la serata delle cover la vince Giorgia (con Annalisa), seguita da Lucio Corsi e Fedez. Stasera sappiamo tutti come andrà a finire, vero?
La pagella alle esibizioni:
Rose Villain con Chiello (Fiori rosa, fiori di pesco): l’inizio della serata è traumatizzante: il duetto è leggermente più fastidioso del rumore del gessetto appuntito sulla lavagna. I due giovani stonano abbestia, gracchiano, straziano la memoria del grande Reatino. La presenza di Chiello sul palco si spiega solo se costui è il figlio illegittimamente concepito in Italia da Nick Rhodes che l’ha raccomandato a Carlo Conti la sera prima. Voto: 0.
Modà con Francesco Renga (Angelo): la prevedibile gara a chi urla più forte, ovviamente vinta da Renga. Poi non è che una canzone se era brutta vent’anni fa migliora col tempo. Renga, invece, sì, ma il subbuglio ormonale non è abbastanza. Voto: 4.
Clara con Il Volo (The sound of silence): erano partiti nemmeno troppo male, con un attacco a cappella che ti ci fanno pure credere che non sarà fatta carne di porco di uno dei brani più belli del secolo scorso. Ma è un attimo, poi sbraco totale. Voto: 1.
Noemi con Tony Effe (Tutto il resto è noia): lui vestito come poro nonno al pranzo di matrimonio quando alla quarta portata saltano le cravatte, infatti biascica. Lei, che in teoria avrebbe potuto salvare la performance, invece ’sta canzone non l’ha proprio capita e la strilla con foga degna di miglior causa. Voto. 4.
Francesca Michielin e Rkomi (La nuova stella di Broadway): il fatto è che non si capisce perché la Michielin si è andata a mischiare con l’Olmo 2.0, perché per il resto sarebbe stato tutto passabile. Voto: 5.
Lucio Corsi con Topo Gigio (Nel blu, dipinto di blu): poesia, ironia, candore, dolcezza, teatro. Dopo un’ora di sofferenze che la vergine di Norimberga in confronto è un massaggio shiatsu, arriva il momento che ti fa desistere dal mollare Sanremo e riprendere la serie su Netflix sospesa da martedì. Gli si vuole bene a Lucio Corsi. Voto: 10.
Serena Brancale con Alessandra Amoroso (If I ain’t got you): cantano bene, col giusto graffio, il pezzo soul di Alicia Keys, offrendo a Carlo Conti l’occasione per piazzare a fine esibizione una rivendicazione sovranista sui cantanti italiani che sono meglio degli altri. Pare che da contratto ne debba fare almeno una a serata, se no l’anno prossimo il Festival lo presenta Pino Insegno. Voto: 6,5.
Irama con Arisa (Say something): si presentano male, lei conciata da Morticia Addams, lui sempre coatto in canottiera dorata. Invece sono bravi, grandi voci, giusto un po’ troppa enfasi. Voto: 7.5.
Gaia con Toquinho (La voglia, la pazzia): Gaia fa la furbata di invitare quel gran signore di Toquinho, così si salva, anche se la sua interpretazione non è stata nemmeno lontanamente paragonabile all’originale di Ornella Vanoni di cinquant’anni fa. Si è saputo se dopo questo blocco la Vanoni è deceduta, come aveva preconizzato da Fabio Fazio? Voto: 6.
The Kolors con Sal Da Vinci (Rossetto e caffè): qui la gara era più tra tinture di capelli. Però Stash, che non nasconde l’essere senza pretese della sua band, fa sempre il suo e alla fine diverte. Voto: 6.
Marcella Bella con Twins Violins (L’emozione non ha voce): la Bella rende un commosso omaggio al fratello Gianni, autore del testo, seduto in platea, ma anche al Papa nel giorno del suo ricovero al Policlinico Gemelli, presentandosi vestita e ingioiellata da cardinale. Ma l’effetto, violinisti ipercinetici inclusi, è molto sagra della bertollaccia. Voto: 4.
Rocco Hunt con Clementino (Yes I know my way): hanno il video di loro due in concerto con Pino Daniele e, giustamente, se lo giocano. Non rinunciano agli inserti rap, però alla fine la napoletanità e lo spirito funk-blues non vengono traditi, così il risultato è meglio di quello che c’era da aspettarsi. Voto: 7.
Francesco Gabbani con Tricarico (Io sono Francesco): il brano è proprio adatto all’ironia stralunata dei due Francesco. Gabbani ci crede di più, Tricarico moscio. Voto: 7.
Giorgia con Annalisa (Skyfall): erano le vincitrici annunciate della serata tipo da un mese, il che ha reso il tutto scontato. Comunque impeccabili e, a sorpresa, Annalisa tiene botta alla grande al cospetto di Giorgia. È la scelta del brano che non si capisce. Voto: 7.
Simone Cristicchi con Amara (La cura): Cristicchi deve aver calcolato che il mercato musicale è saturo e invece gli ospedali sono sotto organico, perciò, dopo essersi proposto come infermiere della madre, si offre di badare anche all’amata non autodeterminata, col brano più famoso dell’indiscusso e indiscutibile Franco Battiato. Almeno qui si è portato una che sa cantare, ma il livello di ruffianesimo ha superato decisamente il livello di decenza. Tanto vincerà Sanremo, quindi sai che gliene frega delle stroncature. Voto: 4.
Sarah Toscano con gli Ofenbach (Overdrive): ora, i francesi dal punto di vista musicale non producono niente di sopportabile dai tempi degli chansonnier, e con tutto quello che poteva scegliere per risollevare una partecipazione sanremese praticamente non valutabile, la giovanissima figlia di Maria (De Filippi) non trova di meglio che invitare questi due scappati di maison. Le cose sono due: o è molto mal consigliata, oppure avoja a crescere. Voto: 3.
Coma Cose con Johnson Righeira (L’estate sta finendo): a cominciare dal Maestro Melozzi con la mega cresta punk, l’esibizione è tutta una piacevole festa anni Ottanta. Perché a una certa si rimpiangono anche gli anni dell’edonismo reaganiano. Però qui nasce il mistero delle coppie scoppiate: dov’è l’altro Righeira? E Colapesce, chè Di Martino dopo canta da solo con Brunori? Perché non celo dicono? Voto: 7,5.
Joan Thiele con Frah Quintale (Che cosa c’è): a parte lui vestito da infermiere (l’ha capita giusta come Cristicchi), l’esibizione è molto di classe, le voci giuste, il pezzo quello che è. Voto: 7,5.
Olly con Goran Bregović e la Wedding and Funeral Band (Il pescatore): non era male l’idea di esasperare il tono ironico e di falsa allegria del refrain del mitico pezzo antimilitarista dell’inarrivabile Fabrizio De Andrè, con la storica band di Goran Bregović. Invece, alla fine, il cristone col nome da cartoon svacca di brutto e con l’inserto parlato in coda (“Tu canti la-lalla-la e tutto si risolverà”) dimostra che non c’ha capito proprio niente dell’opera del suo illustre concittadino. Voto: 4,5.
Achille Lauro ed Elodie (A mano a mano/Folle città): tra i duetti più attesi, il rischio concreto era la discesa negli inferi del coattume più avvilente. E la vestaglia leopardata con cui si è presentato lui non faceva presagire niente di buono. Invece, levata la veste da camera, la buttano sul sexy, entrambi in total black poco coprente, canto uno e controcanto l’altra. Ne esce una cosa energica e divertente. L’unica cosa, si è capito dov’era l’omaggio a Roma? No perché Riccardo Cocciante è di Saigon e la Bertè di Bagnara Calabra... Voto: 7.
Massimo Ranieri con i Neri per caso (Quando): gli ingredienti per una gran bella cosa c’erano tutti: il pezzo stupendo di Pino Daniele, il vocione di Ranieri, l’accompagnamento a cappella dei Neri per caso, che è sempre un valore aggiunto. Invece ne è uscita una roba senza infamia e senza lode. Voto: 5.
Willie Peyote con Tiromancino e Ditonellapiaga (Un tempo piccolo): canzone stupenda di Franco Califano, Federico Zampaglione e Ditonellapiaga bravissimi. Willie Peyote non canta altrettanto bene, ma dimostra di saper fare le scelte giuste. Voto: 8.
Brunori Sas con Dimartino e Riccardo Sinigallia (L’anno che verrà): anche in questo caso era difficile sbagliare: Dalla è Dalla (cit.) e sul palco sale la più onesta rappresentanza dell’attuale panorama cantautorale italiano. Unico passo falso, una stecca da brividi presa da Brunori in un assolo, ma si perdona. Anche perché è stato l’unico, al termine dell’esibizione, nel tempio della musica italiana e altre definizioni retoriche ed ipocrite varie, a ricordare Paolo Benvegnù, scomparso da poco. Voto: 7,5.
Fedez con Marco Masini (Bella stronza): anche per questa coppia l’attesa era tanta, soprattutto perché si preannunciava una consistente lavata di panni sporchi in piazza. E infatti le aspettative non sono andate deluse: Fedez inserisce pezzi rap che praticamente sono il bignami di una saga di corna e controcorna. Poi chiude con un’excusatio non petita (“ti ho dato tutte le ragioni per essere una bella stronza”) e ha pure la faccia di tolla di commuoversi. Comunque Masini canta bene e questo pezzo, a risentirlo, non è per niente brutto e ha un testo complesso e interessante, anche se epurato delle parti più trucide. Voto: 7,5.
Bresh con Cristiano De André (Crêuza de mä): succede di tutto: attacca De André ma poi a Bresh non gli parte il microfono. Così ricominciano, ma poi è al Figlio che si smonta tutto e deve entrare un microfonista a ricomporlo in diretta, forse per la prima volta nella storia del Festival. Seriamente, può essere un caso tutto ciò? Non credo. Quindi mi rivolgo a Te: Fabrizio, io l’ho capito benissimo il messaggio che hai voluto lanciarci da lassù, dall’Empireo dei geni scomparsi troppo presto. Però dai, l’hanno portata a casa. Voto: 7,5.
Shablo feat. Guè, Joshua, Tormento con Neffa (Amor de mi vida/Aspettando il sole): medley hip hop anni Novanta. Meglio di Neffa ce n’è, eccome, ma nell’insieme la simpatica ammucchiata è venuta bene. Voto: 7.
Aggiornato il 15 febbraio 2025 alle ore 16:27