Lo Schiaccianoci di Tchaikovsky, una fiaba che esalta la magia del Natale

Classicamente #8

Se esiste un balletto in grado di farci tornare bambini con la sua capacità di evocare lontani ricordi, commuoverci e stimolare la fantasia, questo è senza dubbio Lo Schiaccianoci di Tchaikovsky. Un capolavoro orchestrato con straordinaria inventiva che racchiude lo spirito del Natale e celebra la spensieratezza degli anni infantili, portandoci in una dimensione onirica costellata di creature sorprendenti, dolciumi sfavillanti e melodie dal fascino irresistibile. Il meraviglioso mondo fatato de Lo Schiaccianoci, però, sembrava lasciare il compositore russo con l’amaro in bocca.

Tchaikovsky intrattenne un lungo scambio epistolare con il nipote prediletto Vladimir Davydov, soprannominato affettuosamente Bob o “Bobik”. In una lettera datata 7 luglio 1891 gli comunicò di aver terminato di schizzi della composizione, ma restituì una fotografia desolante dello stato emotivo che lo affliggeva: “Il balletto è infinitamente peggiore de La bella addormentata, di questo sono sicuro. Adesso vediamo se uscirà fuori l’opera. Ma se devo arrivare alla conclusione che non posso più fornire altro alla mia tavola musicale se non piatti riscaldati, finirò con l’abbandonare la composizione”. Bob, che all’epoca aveva vent’anni, rappresentava per Piotr un’ideale ancora di salvezza, un rifugio dall’età adulta e un affaccio alla vita, tutti temi di fondamentale importanza ne Lo Schiaccianoci. Tchaikovsky dedicò al giovane i ventiquattro brani facili per pianoforte op. 39, “Album pour enfants”, ispirati alle miniature pianistiche di Schumann. Soprattutto, a lui sarebbe andata la consegna della dolorosa Sinfonia n. 6 op. 74, “Patetica”, che Tchaikovsky avrebbe diretto a San Pietroburgo a fine ottobre del 1893, una settimana prima di suicidarsi.

Il balletto “infinitamente peggiore” a cui si riferisce nella lettera è proprio quello che sei mesi più tardi sarebbe andato in scena sul palcoscenico del Teatro Mariinsky di San Pietroburgo il 18 dicembre 1892: Lo Schiaccianoci. Tchaikovsky lo etichettò in modo lapidario come un “piatto già riscaldato” (il “du réchauffe” dell’originale francese tradisce con aristocratica eleganza il malessere del musicista), ritenendolo inferiore ai precedenti titoli Il lagno dei cigni e La bella addormentata. Ma il terzo balletto era un lavoro sinfonico rifinito nei minimi particolari, privo di smagliature, minuziosamente dettagliato di indicazioni esecutive, perfetto. La commissione dei Teatri imperiali predispose la rappresentazione de Lo Schiaccianoci appaiandolo nella medesima serata con l’ultima opera lirica del catalogo di Tchaikovsky: Iolanta, un melodramma dal moderno taglio in un atto che anticipava tante sorelle del Novecento. Questo dittico si imponeva come una forte novità perché invertiva il convenzionale ordine di successione a teatro, dove era solito dare prima l’opera e poi il ballo – prima l’impegno e poi lo svago.

 Ciò che rende unico Lo Schiaccianoci è il carattere autonomo della partitura d’orchestra, a prescindere dalla sua messinscena coreografica. Il balletto vive di una drammaturgia già scritta nelle note e la danza chiede di prendere forma nella musica: è uno scrigno di assoluta bellezza da vedere con le orecchie, prima che nei movimenti, con gli occhi. Non è un caso che Tchaikovsky abbia voluto avvalorare questa indipendenza estraendo otto numeri dell’autografo (l’Ouverture, la Marcia del primo atto, le cinque danze caratteristiche del secondo, il Valzer dei fiori) che presentò lui stesso in concerto a San Pietroburgo il 19 marzo 1892, ben nove mesi prima del debutto ufficiale al Mariinsky. Le parti concluse in anticipo de Lo Schiaccianoci costituivano la Suite op. 71a, indicata come un seguito dell’op. 71 del balletto, anche se lo precedeva temporalmente. Quella minuscola porzione del lavoro riscosse un notevole successo: riusciva a cogliere l’essenza e il cuore orchestrale del futuro balletto.

La fonte letteraria de Lo Schiaccianoci è la storia Schiaccianoci e Re dei topi, tratta da un libro di fiabe fantastiche per bambini che E.T.A. Hoffmann aveva dato alle stampe nel 1816. Tchaikovsky adottò la versione semplificata del racconto scritta da Alexandre Dumas, Histoire d’un Casse-Noisette, ammorbidita rispetto all’originale ed epurata delle componenti grottesche e scabrose. Questa felice reprise incontrò le preferenze della platea e mise in primo piano l’elemento puramente fiabesco della storia. Marius Petipa, l’artefice delle maggiori riforme del balletto russo che aveva già collaborato con Tchaikovsky ne La bella addormentata, rimase ammaliato dall’incantevole trama de Lo Schiaccianoci.

L’Ouverture in miniatura sfoggia i timbri trasparenti dell’orchestra: i violini primi e secondi suonano insieme alle viole e sono affiancati da flauti, oboe e clarinetti. La scelta di inserire pochi strumenti dal registro acuto in questo grazioso preludio, che risplende di un’aura rococò tanto cara a Tchaikovsky, rimanda al contesto fanciullesco nel quale è ambientato Lo Schiaccianoci. La sensibilità dell’autore ci fa quindi immaginare che le tenere armonie dell’introduzione strumentale si dispieghino dal carillon di un bambino. Il sipario si spalanca sul salotto della famiglia Stahlbaum nei primi anni del XIX secolo: è in corso una grande festa natalizia e i due figli, Clara e Fritz, danno il benvenuto agli ospiti.

La casa è ornata in stile Biedermeier e riflette un’atmosfera tranquillizzante, sana, solida, contraddistinta da un mobilio domestico raffinato ma non opulento. La prima scena del primo atto si svolge nella normale ritualità di una delle tante vigilie di Natale. I genitori decorano l’albero e i piccoli rampolli entrano con un tempo di marcia vivace inscenando per la gioia un galop, mentre gli invitati giungono nella dimora. Tra questi è presente il vecchio amico di famiglia Drosselmeyer, che intrattiene i bambini con marionette e trucchi di magia. Alla sua preferita, Clara, ha regalato un dono speciale: uno schiaccianoci di legno a forma di soldatino. Fritz, ingelosito, rompe il giocattolo della sorella ma Drosselmeyer lo ripara immediatamente. Appena l’orologio a forma di gufo rintocca la mezzanotte, i parenti smettono di ballare e fanno ritorno a casa.

Clara si addormenta e la stanza intorno a lei comincia a crescere a dismisura. Compare il malvagio Re dei topi con il suo esercito e la minaccia, ma la giovane viene soccorsa dallo Schiaccianoci alla testa di una schiera di soldatini di piombo. Clara lancia la sua pantofola contro l’assalitore e lo Schiaccianoci lo sconfigge. All’improvviso, il giocattolo prediletto dalla bambina assume le sembianze di un magnifico principe e invita Clara, trasformatasi anch’ella in una bellissima donna, a seguirlo nella sua Konfitürenburg, il Regno dei dolciumi. Durante la loro passeggiata Clara e il Principe attraversano una foresta incantata dove cadono fiocchi di neve che si intrecciano in una soave danza (Valzer dei fiocchi di neve), impreziosita da un coro di voci bianche maschili. I due danzano estasiati fino al crescendo che immortala lo scatenarsi della tempesta e conduce in fortissimo al vorticoso Presto finale.

Inizia il secondo atto. Clara e il Principe sopraggiungono nel Regno dei dolciumi e vengono accolti calorosamente dalla Fata Confetto. Costei introduce le danze in onore dei giovani (Divertissement), alle quali partecipano tutti gli abitanti del palazzo. Ognuno dei sei episodi contiene dei suggestivi espedienti timbrici: la Danza spagnola delle figurine di cioccolato è un bolero animato dalle nacchere e dalla tromba solista; torbidi e sensuali risuonano il corno inglese e il tamburino nella Danza araba del caffè; guizzanti impennate di flauti e ottavino, sui rintocchi del Glockenspiel, connotano la Danza cinese del tè. Seguono il rapido Trepak (Danza russa) e la Danza degli zufoli in tempo di polka, che lasciano poi il posto alla Mamma Gigogne, un avvincente alternarsi di ritmi binari e ternari con la parte centrale, in Andante, pesantemente ribattuta. Infine, una miriade di Fiori di zucchero si esibisce nel lieve e seducente Valzer dei fiori, aperto dall’amabile scintillio dell’arpa.

Il fraseggio degli archi sconfina nell’aulico Pas de deux e, subito dopo, Tchaikovsky sorprende il pubblico con un coup de théâtre: la Danza della Fata Confetto è scandita da uno strumento inedito, la celesta. Ideata dal fabbricante di organi Auguste Mustel circa cinque anni prima, ha una scatola lignea simile a quella di un clavicordo dietro alla quale si nascondono dei diapason percossi da martelletti, azionati a loro volta da una tastiera. “Voce celeste” sospirarono i primi ascoltatori, meravigliati di udire dei suoni tanto angelici. Tchaikovsky temeva che i suoi conterranei, affascinati dalle timbriche eteree della celesta, potessero rubargli l’idea. Così fece portare in segreto la celesta da Parigi, intimando al suo editore di mantenere il silenzio più totale.

Dopo essere stati incoronati sovrani del Regno dei dolciumi, la Fata Confetto s’inchina davanti a Clara e al Principe e li conduce a una slitta che prende il volo tra i saluti di tutti: è il momento dell’Apoteosi. Concepita da Petipa e Vsevolozsky come “un grande alveare con api volanti, a guardia delle loro ricchezze”, la gloriosa conclusione del balletto verrà rielaborata da Gorsky e avrà luogo all’interno della casa dei signori Stahlbaum. È l’alba, Clara si risveglia accanto al suo schiaccianoci-soldatino e danza ricordando il sogno che l’ha portata in un mondo ricco di avventure fantastiche.

Proponiamo il sublime Valzer dei fiori eseguito dal New York City Ballet su coreografia di George Balanchine, uno tra i più grandi ballerini del secolo scorso. Balanchine ha elaborato una particolare tecnica del balletto che rielabora molte nozioni di base della danza accademica, al fine di formare dei danzatori con le qualità tecniche di musicalità, rapidità, purezza di linee e dinamismo, necessarie all’interpretazione dei balletti. Questa tecnica è stata diffusa in tutti gli Stati Uniti e anche nel resto del mondo dagli ex danzatori del Maestro. Buon ascolto, e… buona visione.

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Aggiornato il 07 gennaio 2025 alle ore 13:39