È vero o no che noi siamo i fantasmi di noi stessi? Più che altro, si direbbe che moltissime persone convivano con una o molteplici proiezioni interne fantasmatiche, destinate a diventare corporee nei sogni della notte o negli incubi del giorno. Certo, è più facile che le lenzuola animate siano prerogativa dei creduloni sempliciotti, piuttosto che degli scettici colti, con la gardenia all’occhiello. Ed Eduardo De Filippo come la pensa in merito, avendo scritto e messo in scena la commedia dolceamara di Questi fantasmi? Un’opera quest’ultima oggi diventata un film tivù di Rai 1 (andato in onda lo scorso 30 dicembre), per la brillante regia di Alessandro Gassman, assistito da un ottimo cast di attori, tra cui Massimiliano Gallo (Pasquale Lojacono) e Anna Foglietta (Maria, la moglie di Pasquale) perfetti nel ruolo. Diciamo che, nella visione di De Filippo, la prerogativa di Napoli consiste nella messa in scena quotidiana del tormento universale dell’animo umano. Nel senso che solo lì hanno territorio all’unisono i sentimenti belli e brutti dell’umanità dolente, alla ricerca sempre disperata di sé stessa e costretta a convivere con i propri fantasmi. Del resto, ci dice Eduardo, che tu sia ricco o povero, sempre in questa giostra delle passioni umane di ogni genere e segno ti trovi a convivere. E Napoli è quel Giostraio-Mangiafuoco: un luogo semi incantato di una città che è ancora passato, con un presente indecifrabile e un ignoto futuro, dove miseria e nobiltà stanno assieme come il guscio scuro e madreperlaceo dell’ostrica conserva segreta la sua bianca scoperta interiore.
Dove tutto, cioè, si consuma tra dramma e farsa; vigliaccheria e sofferenza d’impotenza; tra agito, come la remissività e passività stanca di Maria che, giunta allo zero termico della sua passione coniugale, si ridà vita con la fiamma di un prepotente agire, scegliendo apparentemente la fuga da Codice penale con il suo giovane e ricco amante. Il circuito relativo menzogna-verità della commedia è così costruito: un marito, Pasquale Lojacono, incapace e fallito, che però nutre purissimi sentimenti nei confronti di sua moglie Maria. Lei, più giovane di lui e fedifraga, corredata di amante sposato, ricco e spregiudicato. Alfredo, il terzo uomo che, come contropartita al suo tradimento in casa di lui, infila ogni volta, dopo aver visitato la sua amante, una “mappella” di soldi nel reticolato della gabbietta del canarino di Lojacono. E lui, marito becco e credulone, interpreta fantasmaticamente il tutto come una manna insperata, donatagli da spettri benefici e amici, che abitano il grande palazzo nobiliare in decadenza. E nemmeno il (bellissimo) gruppo semimarmoreo, dolente e censoreo, dell’apparizione in gramaglie della moglie tradita, corredata di figlie in lutto e fratello in accompagno, è in grado di risvegliare Lojacono il credulone.
Eduardo, che ci racconti così i vicoli semibui di Napoli, in cui solo il canto dell’usignolo carcerato è sollievo per l’anima appenata! E Pasquale è il tuo degno protagonista, vivendo come tanti, decisamente troppi, nella miseria nera di colui che ha vergogna di dover negare a sua moglie il denaro per acquistare un paio di calze. Scegliendo così di andare ad affitto zero, per farla stare più comoda, in una casa di diciotto stanze e decine di balconi, che la credenza popolare vuole sia abitata da più o meno pacifici fantasmi. Unica contropartita a quel prezzo inesistente: ripetere un preciso rituale scaramantico due volte al dì, per ogni giorno trascorso in quel lussuoso e inquietante appartamento. L’esatto contrario in versione monogamica di certi racconti del XVII secolo, in cui si narra il mito del castello di fantasmi con 366 stanze in tutto, per gustare il piacere di un’amante diversa ogni giorno dell’anno, compresi quelli bisestili. Corona lo scenario di Questi fantasmi l’onnipresenza di un vicinato sempre vigile a ogni ora del giorno e della notte, che svolge diligentemente il ruolo di spia, impiccione e pettegolo, come un portiere mala-benevolo, un po’ mariuolo, un po’ confidente, che tutto vede ma nulla sente. L’illuso Lojacono, insomma, con il suo Pupo pirandelliano che si rifiuta di vivere la realtà implacabile dei fatti del disonore, negandoli a se stesso, ma di cui tuttavia gli altri vedono e sanno. Ma, è pur vero che il denaro non basta a comprare l’amore vero!
Una questione particolare va riservata alla lingua napoletana, che è un precipitato di saggezza millenaria e portato linguistico di una civiltà unica: solo chi è nato, vissuto e sopravvissuto di espedienti e sicura fame ai vicoli di Napoli, e alle mille insidie dei suoi spazi interni ed esterni, è in grado di tradurre quelle esperienze in motti e modi di dire compiuti, peculiari ed esclusivi. Come avviene nel caso dell’anziano portiere dello stabile, mariuolo quanto basta e regista occulto delle vite altrui. Oggi, al contrario di quanto accadeva agli esordi colti della televisione di Stato, l’espressione dialettale e le sue culture tradizionali sono estranee alla quotidianità degli spettatori italiani, anche se il teatro di Eduardo è universale e produce commedie con meccanismi talmente perfetti al suo interno, da risultare intuitivi e piacevolmente contemporanei in tutte le lingue.
Il balcone con l’ombra e la voce di Eduardo rappresenta il “di fuori”, una vista oggettiva dall’esterno dell’ipocrisia sociale e paranoidea quando mette in croce la maschera altrui. Così anche il matrimonio, le sue stanchezze e la sua routine, assumono le forme arrendevoli di ciò che si consuma, trasformandosi in luogo di perdizione della propria autostima. Salvo poi rigenerarsi nel voler credere, ancora una volta, che tutto possa tornare come prima. Ma sono racconti di un’altra epoca, in cui era di casa la tragedia perché non esistevano gli strumenti legali per archiviare una convivenza avvelenata, cancellandone gli obblighi sociali, per poi viverne un’altra, con identiche illusioni e speranze. Allora, per l’amore clandestino, esisteva solo la fuga, perseguibile nei tribunali del regno per abbandono del tetto coniugale. Un suggerimento, in conclusione. La televisione pubblica dovrebbe riprendere l’antica e nobile tradizione culturale dei suoi esordi, creando una cineteca contemporanea di opere teatrali, antiche e moderne, riprese dal vivo, in base a un criterio meritocratico che rappresenti un mix equilibrato e ragionato di critica e successo di pubblico.
Aggiornato il 03 gennaio 2025 alle ore 10:39