Classicamente #7
Oggi il nostro itinerario alla scoperta della musica classica affronterà un brano intimamente connesso all’atmosfera natalizia: il Concerto grosso op. 6 n. 8 in sol minore di Arcangelo Corelli che, nel frontespizio del manoscritto, reca l’iscrizione “fatto per la notte di Natale”. Quando si parla di “concerti grossi” non possiamo omettere il nome del violinista bolognese vissuto nella seconda metà del Seicento, dal momento che viene considerato all’unanimità il padre di questo genere. Corelli, infatti, è stato il primo compositore di rilievo ad aver usato la dicitura di “concerto grosso” in riferimento ad alcune composizioni per orchestra d’archi, nelle quali il materiale melodico sviluppa un dialogo fra due segmenti di dimensioni diverse: un piccolo gruppo di solisti, detto concertino o soli (costituito da due violini e un violoncello concertante) e l’orchestra nel suo complesso, detta ripieno (violini secondi, viole, violoncelli e contrabbasso). Il registro del basso continuo è formato dal clavicembalo, ma può vedere l’aggiunta opzionale di un organo portativo e del liuto.
L’unione dell’aggettivo “grosso” alla forma già consolidata del “concerto” suggerisce l’incremento dell’organico orchestrale rispetto agli ensemble di numero ridotto che caratterizzavano la produzione tardo seicentesca. Ciononostante, Arcangelo Corelli fece confluire nei suoi concerti grossi molti elementi che afferiscono alla musica italiana del Seicento. Merita particolare attenzione lo stile imitativo “da chiesa”, derivato dalla metamorfosi dell’antica canzone strumentale. La sequenza dei movimenti di danza avrebbe conosciuto un successo tale da ispirare le suites per tastiera dei grandi polifonisti tedeschi, tra i quali spiccano Johann Sebastian Bach e Georg Friedrich Händel. Corelli si è cimentato con un’abilità non trascurabile nelle variazioni sugli ostinati, cioè frasi, motivi e disegni d’accompagnamento che si ripetono a oltranza e che non presentano cambiamenti di altezza o di ritmo. Inoltre, il ricorso alle dissonanze e ai cromatismi gli ha permesso di raggiungere un’espressività artistica ornata e rigogliosa, ricca di drammaticità e dai forti contrasti.
L’ordine corelliano, figlio della fertile confusione degli anni precedenti, si differenzia dalle opere dei contemporanei per un magistrale senso della misura, una chiarezza lessicale che non sconfina nella pedanteria. Sul finire di un secolo che ha inteso applicare i principi della retorica all’arte musicale, Corelli fece propria una vasta gamma di figure e di procedimenti retorico-musicali, dosandoli in modo da ottenere delle costruzioni di grande simmetria. I concerti grossi di Corelli amplificano alcune peculiarità delle sonate a tre: i due generi, infatti, presentano delle analogie nel procedimento compositivo, nelle ricorrenze ritmiche e nell’imprevedibilità delle soluzioni armoniche. L’osmosi tra la sonata a tre e il concerto grosso sarà confermata da uno dei migliori allievi e propagatori dello stile di Corelli all’estero, Francesco Geminiani, che comporrà sei concerti grossi basati su altrettante sonate del maestro.
Nella produzione di Corelli ritroviamo dei principi stilistici mutuati direttamente dai due ambienti musicali nei quali si è formato e ha operato: quello bolognese, legato alla sua formazione giovanile, e quello romano, che lo vide protagonista dello scenario cittadino. L’influsso bolognese, determinante per le scelte formali e specificamente tecnico-strumentali, si fonde con gli elementi di pratica contrappuntistica derivati dalla tradizione di Giovanni Pierluigi da Palestrina, radicati nella vita musicale della città papale. Arcangelo Corelli scrisse una raccolta di dodici concerti grossi (op. 6), di cui i primi otto sono “da chiesa” e gli ultimi quattro “da camera”. Tra i concerti che appartengono alla prima categoria, il n. 8 è stato composto per le festività natalizie e fu eseguito in occasione della tradizionale cantata della notte di Natale del 1690 nel Palazzo Apostolico Vaticano, alla presenza di Papa Alessandro VIII.
Il concerto prevede la classica forma lento-veloce-lento-veloce della sonata da chiesa. In svariati punti, però, Corelli trasgredisce le regole: il Grave iniziale è preceduto da sei battute di fuoco in Vivace. Il secondo movimento, Allegro, è in forma binaria ed è costituito da ritmi sfalsati, sospensioni e imitazioni contrappuntistiche. Il terzo movimento, Adagio, ha un episodio centrale (Allegro) in cui i violini esplodono improvvisamente in una serie di ribattuti, per tornare poi all’Adagio iniziale. Il quarto movimento, il Vivace che di norma costituisce il finale, è molto breve e dà spazio ad un ulteriore movimento (Allegro), il cui vero cuore è la Pastorale. Il movimento conclusivo evoca idealmente i suoni dei pastori del presepio, ha un andamento in terzine e fluttua dalla tonalità maggiore a quella minore con momentanee oscillazioni. Placida e serena, la Pastorale ricorda i movimenti omonimi che si incontrano nel Messia di Handel o nell’ Oratorio di Natale di Bach.
La cifra distintiva di Arcangelo Corelli risiede nell’aver composto della musica che, pur perfettamente inserita nel gusto e nelle tendenze dell’epoca barocca, conosce un livello di levigatura, equilibrio e stabilità formale di gran lunga superiore ai canoni del periodo. Proponiamo di seguito l’ascolto del Concerto di Natale eseguito dall’Orchestra Sinfonica della Galizia, con la bacchetta di Tom Koopman. Specialista del repertorio barocco e organista dotato di una tecnica eccezionale, Koopman si distingue grazie a una direzione sobria e armoniosa. Buon ascolto e buon Natale: la nostra rubrica Classicamente ritornerà il prossimo anno.
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Aggiornato il 20 dicembre 2024 alle ore 18:26