Gli episodi di antisemitismo violento che hanno recentemente scosso Amsterdam sono un campanello d’allarme non solo per l’Olanda, ma per tutta l’Europa. Il fenomeno non è isolato: segnali simili emergono in diversi Paesi, e dietro queste manifestazioni si cela una profonda crisi culturale. Alcuni opinionisti parlano del cosiddetto “paradosso ebraico”, una contraddizione apparente, che si manifesta quando personalità ebraiche influenti – George Soros (nella foto), i Rockefeller, i Pritzker – sostengono cause progressiste che finiscono per alimentare l’antisemitismo. Per comprendere questo fenomeno, bisogna guardare alle origini del pensiero “woke”. Diversi intellettuali ebrei hanno avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo delle ideologie postmoderne, particolarmente nella Scuola di Francoforte e nei movimenti post-strutturalisti. Dopo l’Olocausto, molti pensatori ebrei sarebbero giunti a rifiutare la civiltà occidentale, considerandola intrinsecamente corrotta e capace di atti di barbarie inaudita. Questo rifiuto, unito al trauma storico, li avrebbe spinti a cercare nuovi modelli sociali, spesso antitetici rispetto ai valori tradizionali occidentali: proprietà privata, libertà individuale, religione e famiglia.
I media e Hollywood in particolare, dove molti individui di origine ebraica occupano posizioni di rilievo, avrebbero quindi veicolato parte di questa “paranoia woke”, favorendo agende progressiste che si contrappongono non solo all’Occidente e ai valori che esso rappresenta, ma persino a Israele e alla stessa identità ebraica. La maggioranza degli ebrei americani, come evidenziato dal 78 per cento di voti a favore di Kamala Harris, continua in effetti a sostenere politici progressisti. Appare quindi uno strano legame ideologico con questi movimenti, nonostante il fatto che essi spesso promuovano un antisemitismo strisciante. Questo paradosso non deve sorprendere. Detto molto semplicemente: Soros, Rockefeller, Pritzker e compagnia non agiscono in quanto ebrei, ma in quanto rivoluzionari. Che poi una parte considerevole degli ebrei occidentali agisce in tal senso, e non come difensori della propria identità ebraica o occidentale, non è di per sé motivo sufficiente per colpevolizzare l’intera comunità ebraica di qualche “complotto” anti-occidentale. La correlazione non implica dunque causalità. In effetti, essere ebrei di nascita o crescere in un contesto ebraico non significa necessariamente sostenere valori ebraici o occidentali.
Lo scontro attuale non è tra singole identità, ma tra due visioni del mondo incompatibili: da una parte la civiltà occidentale, fondata su proprietà privata, libertà, religione e famiglia; dall’altra un modello che idolatra lo Stato e le istituzioni sovrastatali, viste come un vero e proprio nuovo Messia, capace di portare giustizia sulla Terra. Questo conflitto spiega perché molti personaggi di spicco di origine ebraica possano sostenere agende che erodono le basi culturali della propria stessa storia. Il momento storico che stiamo vivendo, con le sue sfide e le sue contraddizioni apparentemente insolvibili, non deve interrogare solo la comunità ebraica. Liberali e conservatori sono coinvolti da analoghi paradossi. Soprattutto i giovani liberali sono chiamati a riflettere sulle radici dei temi cari all’ideologia “woke”, che essi stesso promuovono non di rado. Le agende progressiste di movimenti come quello Lgbt non nascono nel vuoto, ma si radicano in filosofie pensate per destabilizzare l’Occidente. Sostenere tali cause senza una comprensione critica equivale a indebolire ciò che rende possibile la libertà: il patrimonio culturale e morale dell’Occidente.
Un’altra categoria politica coinvolta da un simile paradosso è quella dei conservatori, soprattutto quelli di matrice cattolica. Molti si sono schierati negli ultimi tempi a favore della causa palestinese, vedendo in essa una lotta per i diritti dei più deboli. Ma questa posizione ignora che il movimento filo-palestinese è fomentato da circuiti ideologici anti-occidentali. Un paradosso simile si osserva anche nel fascino che tanti cattolici conservatori nostrani provano nei confronti del rossobrunismo – la convergenza di idee rosse (socialiste) e brune (fasciste) – finendo così per sposare posizioni politiche incompatibili con la stessa Dottrina sociale della Chiesa. Anche qui, la spiegazione a simili paradossi risiede nell’influenza di filosofie estranee che agiscono sotto traccia. Il filosofo cattolico brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995) aveva descritto con chiarezza questo fenomeno. Egli parlava di “trasbordo ideologico inavvertito”.
Si tratta del processo, abilmente orchestrato, attraverso cui idee e valori di una determinata ideologia finiscono per permeare altre correnti culturali contrarie, spesso senza che gli individui se ne accorgano. Questo può avvenire attraverso propaganda, interazioni sociali o contagio culturale. Il risultato è la contaminazione e la confusione, dove tesi aliene iniziano a confluire, alterando la chiarezza ideologica della parte avversa. Nel caso dell’antisemitismo, molte delle agende “progressiste” sono state influenzate da scuole di pensiero che, nel tentativo di criticare l’Occidente, hanno finito per attaccare inevitabilmente le sue radici ebraiche e poi soprattutto cristiane. Il “paradosso ebraico” e il diffondersi dell’antisemitismo in Europa sono sintomatici del fatto che il vero scontro in corso non è tra identità nazionali e nemmeno culturali, ma tra due modelli di civiltà. Per difendere l’Occidente, è necessario riconoscere e respingere le influenze ideologiche che lo corrompono. Questo richiede un ritorno ai principi fondamentali di libertà, proprietà, religione e famiglia, rigettando ogni ideologia che – volutamente o meno – mina le fondamenta della nostra cultura.
Aggiornato il 21 novembre 2024 alle ore 10:25