La Vestale di Spontini: una Norma neoclassica con un lieto fine

Classicamente #3

Dopo aver esplorato le leggende che popolano le foreste finniche e i motivi che risuonano nella puszta ungherese, questa settimana ci incammineremo alla volta delle colline marchigiane. A poca distanza dalle Grotte di Frasassi raggiungiamo l’ameno borgo di Maiolati, dove il 14 novembre 1774 nacque il compositore Gaspare Spontini. Nonostante abbia ricoperto un ruolo d’avanguardia nello sviluppo del melodramma ottocentesco, il suo nome risulta sconosciuto alla maggior parte delle persone. Un destino beffardo, quello a cui sarebbe andato incontro il placido Spontini. Pur avendo trascorso una vita lunga, serena e all’insegna del successo – caso più unico che raro tra i musicisti – il Maestro è ingiustamente caduto nel dimenticatoio subito dopo la sua morte, avvenuta nel 1851. Oggi dissolveremo l’aura di mistero che lo avvolge andando alla scoperta del più celebre capolavoro spontiniano: La Vestale.

Quando si trasferì a Parigi nel 1803, Gaspare Spontini intuì le potenzialità offerte dalla capitale francese e maturò uno stile capace di fondere la disinvoltura e l’indole briosa della Scuola napoletana con la passione che infervorava lo spirito rivoluzionario. Il tramonto dell’Illuminismo era ormai inesorabile e lasciava presagire la nascita di un paradigma fondato sull’esaltazione dell’amor patrio e sul predominio del sentimento individuale.

Ma Spontini, sebbene fosse attento all’emergere della sensibilità preromantica come un altro italiano migrato in Francia, Luigi Cherubini, non recise mai del tutto il rapporto con il Settecento partenopeo, che include tra i suoi caratteri fondamentali l’equilibrio compositivo, l’esigenza di razionalizzare le forme e la piacevolezza del canto. Senza il prezioso contributo di Spontini, il Belcanto non avrebbe mai raggiunto i suoi vertici. Per questo motivo, possiamo vedere nel compositore marchigiano l’anello di congiunzione che lega Domenico Cimarosa a Gioachino Rossini, Vincenzo Bellini e Gaetano Donizetti.

Gli incontri di quel periodo furono particolarmente fruttuosi. Il neofita parigino circolò negli ambienti napoleonici, fu nominato membro dell’Académie Impériale de Musique e, due anni più tardi, ottenne una posizione di corte come “compositore particolare” della Camera di Giuseppina Bonaparte, che di lì a poco sarebbe diventata un’ammiratrice (e finanziatrice) del compositore italiano. Fu proprio la moglie di Napoleone a patrocinare la prima rappresentazione de La Vestale, avvenuta il 15 dicembre 1807 all’Opéra di Parigi. Il melodramma ebbe un successo clamoroso e collezionò oltre duecento repliche nella Ville Lumière fino al 1830.

Questo gioiello operistico è l’esempio più illustre dello “stile impero”, che coniuga la grandezza degli effetti al pathos della tragedia e vuole riportare in auge i fasti della Roma antica, celebrandone le gesta eroiche e le imprese.
La Vestale (articolata in tre atti, su libretto di Étienne de Jouy) appartiene al genere della tragédie lyrique e influenzerà la produzione di Hector Berlioz e Richard Wagner grazie alla sua monumentalità drammatica e alla stretta aderenza tra l’orchestra, la psicologia dei personaggi e l’azione scenica.

L’Ouverture si apre con un Andante sostenuto in re minore, dolente e mesto, che trae ispirazione dal rigore formale di Gluck. Gli intrecci di flauti, oboe e fagotti anticipano la tormentata storia d’amore tra la protagonista Giulia, sacerdotessa promessa al culto di Vesta, e il generale Licinio. Le battute introduttive lasciano poi spazio ad un Presto assai agitato, nel quale il glorioso crescendo finale accentua i toni entusiastici in re maggiore. Il ribaltamento miracoloso della vicenda – una disgrazia che si tramuta nel coronamento del sogno di Giulia e Licinio – è la chiave di lettura dell’opera, che è stata definita dal regista Luchino Visconti: “Una Norma neoclassica con un lieto fine”.

La Vestale è ambientata a Roma in un anno non meglio precisato (probabilmente nella fase conclusiva della res publica). L’opera esordisce con il dialogo tra Licinio, appena tornato da una fortunata campagna militare contro i Galli, e il suo amico Cinna, al quale confessa l’amore che prova per Giulia. La giovane – anch’essa innamorata di Licinio – è destinata a diventare vestale ed esprime il suo dolore alla Gran Sacerdotessa, che però la esorta a continuare i servigi come ancella della divinità. Durante la celebrazione del trionfo, Licinio e Giulia si incontrano e scelgono di darsi appuntamento al tempio.

Il secondo atto si svolge durante la notte. Nel tempio riecheggiano le preghiere delle vestali e della Gran Sacerdotessa, che onorano e benedicono il sacro fuoco di Vesta (Foco divino, alma del mondo). Mentre Giulia riflette angosciosamente sulla sua sorte infausta (Tu che invoco con orrore), Licinio la raggiunge e i due si scambiano promesse d’amore. Improvvisamente, il sacro fuoco di Vesta si spegne e Cinna aiuta il sodale Licinio a fuggire per evitare ritorsioni. I sacerdoti e le vestali sopraggiungono al tempio e comprendono che la fiamma ha cessato di ardere a causa di Giulia. Il Gran Sacerdote irrompe sulla scena e intima all’aspirante vestale di rivelargli il nome dell’uomo che era in sua compagnia. Giulia, non volendo confessare (O Nume tutelar degli infelici), viene condannata al supplizio dell’immuramento – la stessa punizione subìta da Antigone nella tragedia di Sofocle.

Nell’apertura del terzo atto Licinio è sconvolto per la condanna di Giulia (Ohimè, quale apparato). Insieme a Cinna e ad altri suoi comites decide di interrompere il sacrificio di Giulia per salvarla. Nel frattempo, la ragazza è condotta nella tomba che dovrà ospitarla per l’eternità: saluta tristemente le sorelle e rievoca l’amore infelice con Licinio, che spera di riabbracciare per l’ultima volta (Caro oggetto, il di cui nome). Mentre Giulia si appresta al supplizio, entrano nel tempio Licinio, Cinna e gli altri soldati al loro seguito per porre fine al macabro rito. A questo punto si verifica il prodigio che sancirà il turning point della storia: un fulmine cade dal cielo, squarciando il velo da vestale di Giulia e riaccendendo il fuoco sacro. Il Gran Sacerdote, rimasto attonito, interpreta l’evento soprannaturale come lo scioglimento dai voti proferiti dalla giovane e ritiene che sia avvenuta la riappacificazione tra la giovane e la divinità. Il coro esultante (Lieti concenti) celebra la fine della discordia. Finalmente, Giulia e Licinio sono liberi di amarsi (Vieni, colà sull’ara).

Tu che invoco con orrore è l’aria più famosa de La Vestale di Spontini. Proponiamo l’interpretazione magistrale di Maria Callas (Amburgo, 1959).
La Diva del Belcanto riesce a immedesimarsi perfettamente nell’eroina tragica esprimendo la sofferenza per l’amore negato. Il timbro sidereo della sua voce, la precisione impeccabile, lo sguardo intenso e la padronanza della gestualità rendono questa performance un modello impossibile da eguagliare. Buon ascolto.

(*) Leggi Classicamente 1#, #2

Aggiornato il 18 novembre 2024 alle ore 13:43