Conclusioni pandemiche sul conflitto sociale in atto
A conclusione della nostra ricerca sul corpo-soggetto, riportiamo alcuni appunti ‒ e alcune integrazioni di questi ‒ presi durante la pandemia, che consentono di fare una sintesi, divisa in alcuni paragrafi, di quanto espresso finora e giungere a una prima conclusione.
La libertà e il limite
Si ricorderà che una delle frasi più usate nei social durante la pandemia era: “La tua libertà finisce dove inizia la mia”. Si tratta di una frase emblematica.
È una frase che ogni corpo-oggetto usava per denunciare l’atteggiamento di coloro che ‒ esprimendo una chiara insofferenza verso le misure restrittive delle libertà, e di conseguenza, cercando di liberarsi da certe assurde costrizioni come le mascherine, il coprifuoco, i lockdown, il bando dal lavoro e la Didattica a Distanza, la limitazione delle attività ricreative e ludiche, il nuoto, lo sport – si ribellavano agli obblighi.
Intanto, va detto che, se fosse così, la “possibilità di appropriazione degli spazi di libertà” da parte di un individuo dovrebbero trovare necessariamente un limite nell’appropriazione dello spazio da parte di un altro, “se tu sei libero, non lo sono io”. È una affermazione che starebbe in piedi se l’Italia, o la Terra, fossero isole di 10 chilometri quadrati, o meno. Come se, per chi intendeva difendere la politica restrittiva, non esistesse uno spazio comune alternativo nel quale poter “perseverare nel proprio essere” (come scriveva Spinoza), vivere, trascorrere il tempo, liberi, e insieme, seguendo le proprie convinzioni.
La realtà è invece che le politiche restrittive miravano proprio alla riduzione di quello “stare insieme”, di quel “condividere le cose”. Era proprio la relazione sociale a venire minacciata dalle restrizioni.
Nella realtà la libertà di ciascuno inizia proprio dove inizia anche la libertà e la relazione di un’altra persona. Se tu sei libero, lo sono anch’io. Di conseguenza, se tu accetti una sua limitazione della tua libertà, fino alla schiavitù, queste presto raggiungeranno anche me.
Nel conflitto che si veniva a creare tra questi due modi di intendere la libertà, il corpo-soggetto rivendicava un “diritto alla libertà” e un “diritto alla relazione”, e lo faceva anche in nome della libertà di tutti i corpi-oggetto, coloro i quali non riuscivano a comprendere che l’obiettivo di chi contestava le misure era la difesa di quello spazio personale e intangibile – ovvero il proprio corpo – che è il limite oltre il quale il Potere non si può spingere senza diventare invasivo, violento e totalitario, e la difesa dello spazio sociale, minacciato da regole, da protocolli e dall’invasività di questo Potere.
Insomma, che la Libertà abbia un inizio e una fine è un’idea rozza della libertà. Ed è anche rozzo che vi sia chi giustifica che qualcuno – solo perché al governo in quel momento – possa decidere quali siano certe limitazioni di questa libertà.
È come se lo spazio sia definito, in un gioco a Risiko. Come se vi fosse una assegnazione – compiuta da una entità impersonale – di spazio, come le corsie nel nuoto, o una turnazione del tempo di libertà: come nelle ore d’aria nei penitenziari.
Questo tipo di affermazione sulla libertà di un individuo che inizia dove finisce quella di un altro proviene da quel tipo di comunicazione tendenziosa che ultimamente il Potere sta facendo, in modi impliciti o espliciti: “Non c’è più abbastanza spazio per tutti, e le risorse sono limitate, anche se siamo in un paese prospero, nel quale la crescita personale (di ricchezza e reddito) può diventare una opportunità di crescita per tutti”.
È un sottile terrorismo di Stato, che deprime, e conduce a una lenta e inesorabile riduzione della serenità, della speranza, dell’ottimismo entro i confini di un paese, e che porta a ridurre i consumi e quindi il Pil, che induce a non avviare iniziative economiche, capaci di invertire la tendenza all’implosione, e porta le coppie alla decisione di non concepire nuove vite, alla sterilità reale, e statistica.
Ma come è possibile che si sbandieri quest’idea del “limite alla libertà”?
Il problema sta esattamente nelle percezioni fondamentali del corpo-oggetto.
Uno dei problemi reali di chi non è giunto ad attivare il viaggio di corpo soggetto è che percepisce il proprio corpo come un oggetto da proteggere, da mettere sottovetro, che non sa dove sia e quale sia il limite del corpo, della pelle, e quindi il limite da porre a chi su questo corpo inveisce e interviene (ad esempio con misure sanitarie invasive). È anche affetto da masochismo, da obbligo a non prendersi troppo piacere.
Un corpo-oggetto, che non si sente, potrebbe illudersi che il proprio corpo arrivi fino alla fine del corridoio, di cui occupa solo un frammento dell’inizio. Ovvero, non sentire il proprio corpo, non consente di percepire i confini del proprio Sé corporeo. Tutto è spiegato nella psicologia dello sviluppo del bambino, che, vivendo in simbiosi con il corpo della madre, non sa distinguere il Sé dal tutto. Il limite del Sé individuale non c’è: è così che una delle percezioni distorte dello “schizofrenico” è una sorta di onnipotenza e onnipresenza, mentre un’altra, opposta e contraria, è il senso di vuoto. Abbiamo affrontato questo punto nel corso di questa trattazione (articolo 5).
Di conseguenza, un corpo oggetto, non sapendo come darsi tale limite ‒ limite che è uno dei principi su cui propriamente si basa l’attività di chi è-il-proprio-corpo, e lo abita compiutamente ‒ per capire dove sta il “limite”, ovvero il confine di sé, ha, al contrario, un bisogno costante di segnaletica stradale, di una guida, di un comando. Questa presenza regolamentare lo toglie dallo stato di ansia, e di fuga dalla “libertà”, che è un concetto per lui insostenibile, poiché per lui “libertà” equivale a un senso di vuoto straniante.
Chi è-il-corpo “sente” invece il limite del suo corpo, essendo in grado di contattare in propriocezione, ogni frammento del proprio corpo, e quindi anche i propri confini. Questo consente – nel bene nel male – di avvertire la presenza dell’altro di cui percepisce essenza, fisicità, limiti e confini. La vive, positivamente o negativamente, a seconda di simpatia-antipatia. Questo fornisce un senso alla sua attività relazionale, all’associazione o alla dissociazione, al contatto o al conflitto. È un percepire d’istinto, emotivo, intuitivo.
Per il corpo-oggetto invece non è sufficiente percepire l’altro, la sua forza, la sua debolezza, per capire se ci si può spingere o no laddove ci si senta accolti o meno. La relazione per il corpo-oggetto è un’esperienza sempre angosciosa. Ciò in quanto comporta o l’inglobare o l’essere inglobati dal corpo altrui. Lo descrive bene Nanni Moretti in uno dei suoi film: “Bianca”.
Un corpo oggetto, dunque, non ha altra alternativa ad essere manipolato oppure a manipolare. Perché il suo non è un mondo di soggetti, ma di oggetti.
E dunque, il problema di “assenza di un senso del Limite”, come il corpo oggetto percepisce ha potuto risolversi con l’obbligo della vaccinazione, il Green Pass e il super green Pass, segnali stradali forti che danno così senso a quegli oggetti che, nelle loro percezioni, sono la maggior parte delle persone.
Ogni corpo-oggetto, probabilmente per nostalgia del suo viaggio di identità mancato, per essere (anche se non è né probabilmente sarà mai), e per poter dire di essere, è obbligato a richiamarsi a un lasciapassare esterno, alla giustizia, a regole, a codici, a leggi, a costituzioni scritte che glielo concedano. Chi è oggetto, da solo, senza guardiano, non ci può stare.
È come se ci dovesse essere sempre un padre o una madre cui ricorrere per stabilire quel che può essere fatto o meno.
E il fatto di distinguere sé dalla massa dei reietti e dei vilipesi dall’ordine costituito ha dato forza, dignità e identità a milioni di persone, confinate altrimenti nell’anonimato. È la massa oscura che, proprio perché massa, scopre una identità di sé, e, proprio per questo suo conformarsi, viene premiata dall’autorità. Per molti questa percezione di superiorità conformista è stata entusiasmante.
Soprattutto, il comportamento conforme salva l’individuo dalla condanna che per un corpo-oggetto suona la peggiore: lo stigma sociale.
(*) Leggi i capitoli precedenti: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27
Aggiornato il 02 novembre 2024 alle ore 12:19