Il corpo-soggetto: un paradigma liberale/24

Idealtipi del “corpo nel mondo” sociale

Ci appresteremo ora a fornire degli elementi per identificare l’esistenza delle due modalità di percepire, ed esperire con, il “corpo nel mondo”, nel campo specifico definito società. 

Prima della nostra trattazione fenomenica dell’esistenza, avevamo accennato alla relazione sociale come quella seconda strada che, insieme alla sessualità, ci consentirà di condurre a compimento il viaggio del corpo-soggetto

Scrive a questo proposito Franck Vennier: “Il corpo (in quanto soggetto) abita il mondo, e dal suo sé, lo riflette e lo trasforma. Il corpo anima il mondo e forma con lui un insieme. In questo scritto di un fenomenologo, si riscontra già quanto tratteremo in seguito: il corpo soggetto è, oltre ad essere un prodotto sociale, anche un produttore di socialità, un creatore di forme sociali, prima potenzialmente, e poi realmente, a livello pratico.

L’essere corporeo si unisce a un ambiente definito, si confonde con certi progetti e si impegna continuamente. Per Marcel e Merleau Ponty: “Il corpo non è dunque né una cosa, né una somma di organi, ma una rete di legami, aperto al mondo e agli altri”. L’apertura naturale del corpo-soggetto al mondo, ne fa un essere, una unità che va compresa insieme al mondo, naturale e sociale. 

In questo capitolo, pertanto, ripartiremo dal paragrafo “contatto e relazione”, già trattato nel capitolo 3.

Nel 1624, il poeta britannico John Donne scriveva: “Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso. Ogni uomo è un pezzo del continente, una parte del tutto”. 

Il viaggio del corpo-soggetto, dunque, continua al di fuori di sé, e, dopo aver descritto l’impulso erotico, l’incontro e la ricerca dell’altro dal punto di vista affettivo, emotivo e sessuale, in questo capitolo giungiamo a dar conto dell’approccio corporeo dell’incontro, della cosiddetta relazione sociale, e così tentare di dare una definizione dell’identità del corpo-soggetto e di quella del corpo-oggetto, ovvero di quel “complesso dei dati personali, caratteristici e fondamentali che consentono l’individuazione, o garantiscono l’autenticità di un individuo”. 

Cosa, insomma, rende unico un individuo rispetto agli altri

Ciò comporterà di doverci cimentare, come del resto suggeriva Weber, quando si imbarcava nella descrizione della realtà, a ritrarre due idealtipi di persone e delle loro differenze: due profili fittizi, cioè, nei quali la soggettività e l’oggettività del corpo vengono espanse e massimizzate. 

A seguire, cercheremo di descrivere il potenziale conflitto che si può innescare tra di essi. Prima, abbiamo però, nuovamente, il dovere di precisare che nell’esporre le differenze che esistono nell’identità e nelle due percezioni del corpo, qui esposte e messe a confronto, l’intenzione non è di distinguere antropologicamente tra due categorie di persone, contrapponendole. Si vuole solo rimarcare, anche negli aspetti sociali, una mera prevalenza tra essere e avere nella percezione del proprio corpo, che discende dalla psicologia dello sviluppo.

Tutti infatti viviamo questo ondeggiamento tra due percezioni della corporeità. Per aggiungere altri esempi a quanto fatto finora, un corpo-oggetto è fotografato nel momento nel quale non è in grado di assumersi una responsabilità, o nel momento in cui il compito, l’attività lavorativa, il semplice gesto, che gli viene affidato da altri, che hanno su di lui una certa influenza, è superiore alle sue esperienze, alle sue forze o alle sue stesse capacità. 

Ci si fa corpi-oggetto, ad esempio, quando una pressione esterna a noi paralizza e ci rende insicuri. Un giovane che non supera il confronto con un genitore, dal quale ancora dipende economicamente. Un anziano, fiaccato ormai dall’età che sopravanza le sue stesse aspirazioni. La società fiocca di esempi nei quali ci si può mettere nelle scarpe di qualcun altro, percependo che l’altro sta vivendo una esperienza da corpo-oggetto. 

Tutto questo ha a che fare con l’età, con le competenze, con le responsabilità che vengono affidate alla persona in questione. O con gli episodi: mentre si sta guidando serenamente, una caramella fa spezzare un dente. Questo senso di caducità ci impedisce di procedere come corpo-soggetto che guida. E fino a che non si sarà andati dal dentista, prendendoci cura della nostra bocca, le cui funzioni ora risultano menomate, e a risolvere quella situazione, il nostro naturale essere-il-corpo ne risentirà, forse in maniera minima, ma l’evento eserciterà una certa influenza, che ci condurrà ad oggettivare il nostro corpo.

In particolare, vi sono, evidentemente – come abbiamo visto nell’evoluzione del soggetto – dei gradi di soggettività da percorrere e da raggiungere, partendo da quella dimensione di oggetto, che è propria del neonato, non distinto dal corpo della madre, per il quale non si è ancora avviato un processo naturale di identità soggettiva. 

​Idealtipo del corpo soggetto 

Il viaggio del corpo soggetto è in continua evoluzione e perfezionamento. Non c’è un punto di arrivo, un momento nel quale ci si senta al 100 per cento arrivati alla meta. È una prospettiva progettuale costantemente aperta, nella quale, dalla distinzione del proprio corpo dal mondo, si passa attraverso altre fasi, il riconoscimento di sé, e dei propri limiti, fino all’identità personale e poi sociale e infine alla propria affermazione.  

Si realizza, quindi anche nella società, passo dopo passo, assumendo piena consapevolezza di sé, e poi di un ruolo, in una famiglia, in una comunità, in un gruppo di lavoro, in società, saggiando il talento, e portando alla luce le proprie caratteristiche, che consentono al corpo-soggetto di realizzare il proprio personale progetto, da portare avanti, nel mondo. Progetto che, attraverso fatica e ostacoli, ci condurrà a raggiungere un certo grado di soddisfazione di sé.

Avviene, in questo cammino, una lenta conquista di punti fermi, attraverso i quasi accrescere il senso di sicurezza in se stessi, nelle proprie capacità e nelle proprie peculiarità, originali, distinte da quelle degli altri. Tutto questo non si ferma, ma si instilla un affinamento continuo delle proprie propensioni, delle proprie qualità umane, sentimentali, sessuali, familiari, professionali, e infine sociali. 

Per quanto riguarda la propria propensione sociale, quanto più ci si affranca dalla condizione oggettuale di sé e del proprio corpo, quanto più tende ad affermarsi una sorta di naturale estroversione, che se pure non va a stravolgere la natura intima della persona, conduce il corpo-soggetto a mostrarsi, a manifestarsi maggiormente, ad esprimere chi si è veramente. “Ci si concede”, si perde quella dose di riservatezza che è dovuta più a una condizione oggettuale della nostra corporeità che a un’intima e naturale introversione. Si tratta di una naturale predisposizione al dono di sé, come vedremo più avanti, che è legato al desiderio di mostrare agli altri la propria via per la realizzazione di chi si è davvero, nel mondo, che si lega a una acquisita sicurezza di sé.

In senso contrario, gli incidenti della vita, le frenate su questa strada intrapresa dal corpo, come la caducità della salute del corpo e dell’integrità, che si aggravano a mano a mano che il corpo invecchia, conducono a un freno sulla componente soggettiva ed espressiva. E dunque, se la maturità significa una marcata e pronunciata soggettività, tutta la condizione precedente e quella successiva all’età adulta (infanzia e vecchiaia) sono epoche nelle quali prevale la corporeità da oggetti non autonomi, non indipendenti, non inner-directed, e, pertanto, gregari e passivi.

Distinguiamo poi, il percorso della conquista della soggettività corporea dal cosiddetto “successo” sociale, ovvero quella condizione nel quale la percezione è quella dell’arrivo di un progetto messo in atto, percezione che porta al senso della conquista, dell’infallibilità e di una sorta di immortalità del corpo. Si tratta di una condizione precaria e poco consapevole. Non dipende intrinsecamente da noi, ma da circostanze e da condizioni esterne alla nostra volontà. È una condizione che subito si trasforma in altro, minacciata e pervasa, come è, dal timore di perdere quello status, ed è anch’essa assimilabile alla condizione del corpo-oggetto. 

Invece, la condizione di corpo-soggetto non è suscettibile di essere smarrita se non per situazioni oggettivamente gravi e anche non permanenti, come le malattie, i lutti, gli abbandoni, le crisi lavorative, momenti di disoccupazione, disastri economici, che mettono a rischio il proprio quotidiano e autonomo vivere.

Come vedremo più avanti, quello che vogliamo mettere in luce, è che esistono condizioni della realtà – che siano incidenti di percorso, periodi di crisi, di involuzione, eventi avversi – nelle quali si riprecipita nella percezione di essere oggetti, separati dal nostro stesso corpo, come da quello degli altri, in una dimensione che può essere temporanea o permanente, di dissociazione corporea. In quel momento, noi finiamo per non essere-nel-corpo, e lo viviamo come spettatori esterni.

Per tornare a splendere come soggetti, dovremo a quel punto ripercorrere tutte le tappe del viaggio che abbiamo descritto.

Chiarito questo, la conquista dell’identità, che si assume nel potersi percepire corpo-soggetto, rende l’essere-il-corpo autentico, reale, autodeterminato, consapevole, responsabile, coerente, conscio di quali siano le motivazioni profonde che muovono il corpo, le sue emozioni, i suoi pensieri, le sue credenze, la sua ideologia, le sue istanze sociali e politiche. In sintesi, il corpo-soggetto è capace di concepire e mettere in atto un “progetto”. 

Affettivamente si è emancipato dalla condizione del bisogno, prova desideri ed è in grado di mettersi – seguendo Merleau Ponty e Goffman – in una situazione “erotica”. Sa creare complicità, intimità, la sa mantenere e sa coscientemente scegliere un compagno con il quale è empaticamente in contatto. Dunque, in altre parole, stiamo parlando dell’acquisizione di un certo grado di coscienza e di consistenza nel suo spirito. È pertanto un corpo che si identifica completamente con l’individuo che lo abita e lo fa essere.  

È un corpo, giacché è portatore di competenze e capacità, che è anche capace di gestirle a proprio favore e, seguendo il proprio interesse, di sviluppare idee o azioni tese a conservare lo stato della propria comunità, del proprio paese, oppure di modificarlo, seguendo determinate idee e determinati principi di cui si fa portatore e diffusore.  

Il corpo-soggetto è già, quindi, ai fini di quel che vogliamo esprimere, certamente un idealtipo di soggetto, un soggetto che, dal punto di vista sociale, economico e politico, è dotato di una sua compiuta razionalità e coscienza.

Si tratta, seguendo Merleau Ponty, della coscienza-del corpo proprio, la consapevolezza completa che il proprio essere si compie nel corpo prima e in anticipo rispetto alla riflessione, al lavorio costante che la mente realizza, in quanto entità che è-nel-corpo ma che spesso cerca di dirigere il corpo, invece di seguire quanto nel corpo avviene, direttamente. E cosa avviene è un fatto che ci parla dell’istinto, delle sensazioni, delle emozioni, delle azioni proprie e delle reazioni che queste scatenano nel-mondo.

L’amor proprio

Il corpo-soggetto si potrebbe anche identificare, a questo punto con il modello di homo aeconomicus dell’economia politica. Solo nel senso che condizione necessaria e sufficiente per rappresentare l’homo aeconomicus è l’aver raggiunto questo idealtipo. Eppure, il modello dell’homo aeconomicus non aderisce perfettamente al nostro idealtipo. Infatti, nel viaggio del corpo soggetto, e nello svolgimento dell’idealtipo, abbiamo volutamente tralasciato un concetto fondamentale per districarci nella nostra diade: quello dell’amor proprio, inconfondibile alleato del corpo-soggetto.

Nella vulgata, l’amor proprio – come tanti altri concetti che riguardano la persona, la vita, la realtà delle cose vissute ed esperite dal soggetto e indagate dalla filosofia – è un sentimento sottile, fugace, non unanime, una percezione, una vibrazione che sta nei libri, nelle parole, nelle descrizioni, ma che solo uno sguardo davvero fenomenologico non può non rimandare ad un sentimento “incarnato”, incastonato “tra le costole e la pancia” delle persone.

L’amor proprio, impartito come lezione da parte di una mamma amorevole, accompagna sempre queste parole con una mano sul cuore o sul cuore di suo figlio. Non è certo qualcosa che sta nella testa. Non può non divenire, insomma, una caratteristica anche corporea della personalità di un individuo.

A ben vedere questo amor proprio, da tenere ben distinto dall’egoismo, è proprio un corollario dell’essere-il-corpo, della forza di essere e percepire quello che davvero, autenticamente, si è, attraverso un sentimento di amore e rispetto verso di sé e verso la propria naturale identità.

Una psicoanalista lo ha ben raccontato citando le istruzioni date dall’equipaggio ai passeggeri, prima del decollo dell’aereo. Se ci sarà bisogno dell’uso delle maschere ad ossigeno, dovete prima fornire assistenza a voi stessi e poi potrete occuparvi del vostro vicino di posto, vostro figlio o vostra madre, e aiutarlo. Per fare qualunque cosa con gli altri e per gli altri, dovete essere a posto e sicuri voi stessi. L’amor proprio è insomma un obbligo per chi vuole entrare nella vita e viverla da protagonista, da attore, che la propria vita la costruiscono e la progettano.

L’amor proprio sottende qualunque progetto, inteso come proiezione di sé. E, se una persona non lo sente, se manca qualcosa, raggiungere l’amor proprio diviene il primo progetto su cui concentrarsi. 

Consigliabile, per districarsi nel concetto, è il lavoro su “l’etica come amor proprio” scritto da Fernando Savater, che sia pure, visto da sinistra, assume dei connotati notevoli di libertarismo. 

Proprio l’esempio della maschera ad ossigeno dovrebbe far capire bene cosa è avvenuto con la vaccinazione di massa. Si è pensato che occuparsi dell’altro, il no vax che non rispondeva ai diktat governativi, potesse precedere il proprio personale “salvamento”. Si è pensato che obbligare tutti ad adottare un certo comportamento, venisse prima di assicurarsi di fare la scelta più appropriata per se stessi. Se il vaccino fosse stato il modo definitivo per mettersi al sicuro a nessuno sarebbe mai venuto in mente di accanirsi ad obbligare tutti. 

Occuparsi degli altri – per dei corpi-oggetto – significava semplicemente assicurarsi che la scelta diversa fatta da pochi non sconfessasse la loro obbedienza.

Non lasciare che vi fossero dei termini di paragone (il vaccino è efficace o meno?) – cosa che la resistenza dei non vaccinati ha impedito – non avrebbe così messo in dubbio quell’obbedienza “sacra” al Potere. C’era insomma della rabbia impotente, tra i corpi-oggetto, che risultarono incapaci di trovare in loro la forza di rifiutare gli obblighi, scoprendo e coltivando in loro un po’ di amor proprio.

L’amor proprio (in latino amor sui, a cominciare da Sant’Agostino) non è egoismo, che invece appare come una scatola vuota, un oggetto, per l’appunto, da riempire. Ciò in quanto, l’egoismo finisce con l’essere un atteggiamento, una modalità dell’esistenza, nel quale prevale l’isolamento, mascherato di autosufficienza. Non volere oneri e responsabilità verso l’esterno, questo è egoismo. Viceversa, l’amor proprio va piuttosto considerato come un contenuto, caldo, sentimentale, ricco com’è di connotati di rispetto, di affettività, di calore che viene rivolto verso di sé, ma che colora della stessa sostanza – l’amore – anche tutte le relazioni con gli altri.

Analogamente, anche il corpo oggetto può essere ritratto proprio come una scatola vuota, quando invece il corpo soggetto è come un contenuto, molto forte, pieno di passioni ed energie esplosive, che forse potrebbe – e si sottolinea potrebbe – avere bisogno di una scatola, morale, regolamentare, etica, attorno al quale radicarsi in società.

L’amor proprio e la crescita del corpo-soggetto si fondano certamente nell’aver o meno ricevuto amore nella propria infanzia o – a compensazione – nel resto del corso della vita. La ferita che si apre nel non aver ricevuto amore durante l’infanzia, può parzialmente essere sanata da un amore autentico ricevuto in età più adulta, ma si tratterebbe pur sempre di un rimarginare parziale. 

Se hai ricevuto amore, il tuo corpo avrà amore da dare, da donare. Altrimenti, in quanto oggetto, potrai sicuramente avere da scambiare il tuo amore con altro: bisogni, desideri, sicurezze, denaro, fortuna, credenze, promesse, certezze mai possedute. Chi si fa corpo-oggetto può sicuramente dare e avere amore, ma sarà anch’esso un oggetto, da scambiare.

L’amor proprio, infine, come del resto l’amore, o l’amare, è, come abbiamo visto, un processo, una conquista della modalità “essere” del corpo, una conquista del corpo-soggetto, e del suo viaggio. È, dunque, solo per amor proprio che qualcuno, in una posizione chiave nel sistema di Potere, in momenti drammatici e tragici per la storia, riesce a sottrarsi a obblighi o a ordini autoritari che sono contrari all’etica e alla morale, alla naturale libertà o ai diritti naturali delle persone. Solo chi è dotato di amor proprio sfida – a costo della vita – i comandi e gli ordini che si pongono contro i fondamenti e gli imperativi categorici della convivenza umana.

(*) Leggi i capitoli precedenti: 12, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 1516171819, 202122, 23

Aggiornato il 19 settembre 2024 alle ore 16:03