Riscoprire il Risorgimento. Per Giuli un arduo compito.

Fascismo e antifascismo militante di sinistra sono riusciti nell’arduo compito di demolire il racconto eroico del Risorgimento da cui nacque l’unità statuale della penisola tanto agognata nei secoli da diverse personalità della cultura come Dante Alighieri e Alessandro Manzoni, tanto per fare due nomi per tutti.

Il Fascismo che fece dell’evento storico del Risorgimento, conclusosi con la Prima guerra mondiale, un suo mito unificante, riducendolo però a un susseguirsi di favolistici aneddoti da cui sarebbe scaturita l’Unità della Patria Italiana, senza una vera analisi critica di quello che fu certamente un fenomeno politico anticipato da uno culturale più profondo, il Romanticismo e prima ancora il Liberalismo e l’Illuminismo con un portato di idee e rivoluzioni che avevano come intento soprattutto quello di abbattere l’assolutismo regio che nei secoli precedenti aveva infestato le nazioni europee.

Il Risorgimento visto da questo punto di vista fu un fenomeno europeo. Fu preceduto dalla “gloriosa” Rivoluzione inglese (1688-1689) da cui scaturì il sistema istituzionale moderno fondato sulla limitazione del potere grazie al Bill of Rights (1689) la Dichiarazione dei diritti.

Il Fascismo si appropriò indebitamente del mito risorgimentale e dei suoi simboli, buttando alle ortiche le lotte contro la tirannia dei ceti dominanti dell’ancien regime (clero e aristocrazia) degli stati preunitari che caratterizzava la gestione del potere, che fu dura a morire. In Sicilia solo per citare un caso la feudalità terminò nel 1812 con conseguenze imprevedibili sul piano dell’ammodernamento dell’isola. È interessante leggere quello che scrisse Giovanni Gentile in “Il Tramonto della cultura siciliana” in cui evidenzia proprio l’arretratezza culturale dell’isola ed al contempo la nuova apertura al mondo seguita all’unificazione del Regno d’Italia.

Il grave vulnus che la propaganda di regime fece alla cultura italiana fu proprio quello di separare le aspirazioni alla libertà concreta (di stampa, di parola e di proprietà) di cui era impregnato il Risorgimento, che, come ogni fenomeno umano, aveva limiti e contraddizioni, dalla realizzazione pratica degli obiettivi nazionalistici di Benito Mussolini. Esso, quindi, divenne un’arma di indottrinamento nelle mani spregiudicate del capo del governo e dei suoi gerarchi. L’Unità d’Italia fu rappresentata come la naturale evoluzione della Nazione italiana in Stato tirando appresso anche l’idea di Patria, che passò dall’essere terra dei Padri a quella che i romani ritenevano “barbara” di Nazione come unità etnica fondata su legami di sangue e di lingua.

In contrapposizione a quest’ultimo termine va notato che gli antichi romani preferivano quello di “Civitas”, “Patria”, “Res pubblica” o “Urbs”.

Dall’altro lato, opposto e simmetrico, l’antifascismo di sinistra, per demolire ogni residuo di autentico sentimento patriottico, in vista dell’unità del proletariato sotto l’egemonia comunista dell’Urss, ha condotto nel tempo una feroce campagna anti Risorgimentale, magari anche utilizzandone i simboli come quello di Garibaldi, ma nella sostanza con l’obiettivo di demolire il principio della “Terra dei Padri”. Il pretesto fu la lotta contro il fascismo, condotta sia durante la Resistenza, che peraltro non fu solo rossa, socialista e comunista, ma anche monarchica, cattolica e liberale, sia nel dopoguerra quando il fascismo era tramontato definitivamente, impregnando tutto di antioccidentalismo ed antiamericanismo. Il risultato è stato quello che ha portato alla demonizzazione del Risorgimento e della Patria.

L’antifascismo rosso ha buttato il bambino con l’acqua sporca, gettando alle ortiche proprio come il fascismo, le aspirazioni alla libertà che nel movimento risorgimentale erano la parte più rilevante.

Su questo piano fascismo e antifascismo si possono dare la mano per avere insieme raggiunto l’obiettivo di smantellare l’unità italiana prima nella coscienza degli individui e poi nelle istituzioni repubblicane.

E così è successo persino che nelle manifestazioni dei vari movimenti meridionalisti, sicilianisti e neoborbonici hanno iniziato a vedersi le bandiere rosse e queste associazioni che all’inizio erano semplicemente “legittimiste” hanno preso connotazioni “antiunitarie”. È tanto vero che per questo tipo di sinistra è usuale inneggiare agli stati preunitari, in cui non esistevano tutele e diritti per i lavoratori, per i più poveri e i più deboli, pur di attaccare l’idea dell’Italia unita.

E proprio il centrosinistra con il governo di Giuliano Amato nel 2001 modificò il Titolo V della Costituzione repubblicana introducendo un sistema ibrido di autonomie che di fatto ha colpito l’edificio su cui si reggeva l’Italia e che aveva garantito libertà e prosperità. Un ruolo in questa opera di demolizione ha avuto, e continua ad avere la Lega, che recentemente ha imposto l’autonomia differenziata che porterà al passaggio dal centralismo statale a quello regionale con esiti ancora da decifrare.

Queste due riforme sono solo il frutto avvelenato dello smantellamento del Risorgimento come momento culturale fondativo dell’Italia.

Un compito che ci sentiamo di ascrivere come prioritario tra quelli del ministro della Cultura Alessandro Giuli dovrebbe essere quello di incentivare l’opera di rivitalizzazione dell’idea Risorgimentale che case editrici, giornali liberi, associazioni patriottiche ed intellettuali indipendenti da anni svolgono nell’ostracismo della cosiddetta “cultura ufficiale”.

Non basta a questo scopo la nomina di qualche, seppur preparata, personalità in uno dei tanti organismi di stato, serve invece un autentico progetto culturale: quello di far riscoprire il Risorgimento agli italiani facendo tramontare con questo l’idea nazionalista che una certa destra “coccardiera” ha della storia patria. Compito non facile ma utile.

Aggiornato il 17 settembre 2024 alle ore 13:19