Che cosa c’è dopo il patriarcato? Il matriarcato no di certo, in quanto le donne comandano da sempre in famiglia e non hanno bisogno di altre conferme. Il film It ends with Us - Siamo noi a dire basta, nelle sale italiane dal 21 agosto, tratto dal romanzo di Colleen Hoover per la regia di Justin Baldoni (quest’ultimo anche nel ruolo di protagonista del neurochirurgo Ryle Kincaid), suggerisce per così dire una terza via, in cui il finale instaura un perfetto disequilibrio nei ruoli tra i sessi. Certo, il punto di partenza è quanto di più sconvolgente si possa pensare, dovendo parlare di violenze in famiglia e della coazione a ripetere (scelte sbagliate di uomini violenti) che trasla di madre in figlia, così come accade nella opera prima di Paola Cortellesi C’è ancora domani. Solo che, nel film di Baldoni, è la figlia a dire “basta”, e non la madre a impedirle di fare la scelta sbagliata, magari facendo saltare un locale pubblico di proprietà del fidanzatino violento, con la complicità di un marine “niro-niro”.
Diciamo subito che ci sono troppi “ok” che limitano in modo eccessivo lo svolgimento dei dialoghi, sempre un po’ troppo sincopati, in cui tutti i significati espressivi sono relegati alle sequenze molto ripetitive di gigantografie dei primi piani a tutto schermo dei due attori principali. La storia, in realtà molto semplice e lineare, è di fatto portata esageratamente alle lunghe per ben 130 minuti di proiezione, cosa di cui risente negativamente l’efficacia della narrazione. Infatti, il dramma di Lily Bloom (interpretata da Blake Lively), nata in una famiglia benestante con un padre che eccelle in violenze domestiche contro una madre succube, non dispiega pienamente le sue ali proprio a causa dell’analisi incompiuta del rapporto madre-figlia, in cui la prima sembra ignorare del tutto l’impatto del trauma subito da Lily in età adolescenziale.
La circostanza è chiarita già all’inizio del film, a seguito del ritorno a casa della figlia in occasione della morte del padre, la cui figura è del tutto “incommemorabile” per Lily in occasione della memoria funebre. Infatti, come disfarsi di quei ricordi, prima di bambina e poi da ragazza, di chi ha visto il proprio padre comportarsi in modo disumano, prima con sua madre e poi mandando all’ospedale il suo giovane fidanzatino dopo averlo sorpreso in camera con lei? In secondo piano, con tanti flashback, ma senza mai trovare il giusto carattere di risonanza nella sceneggiatura, si agitano temi di fondo come la diffusione delle armi in seno alle famiglie americane. Per cui può accadere, come narrato nel film, che due fratellini trovino e giochino inconsapevolmente con l’arma carica del padre, facendo partire un colpo che uccide il minore dei due. A questo tipo dramma fa da contraltare e da alter ego il gusto del bello e dell’effimero di un elegantissimo negozio di fiori, gestito da Lily con l’aiuto della sorella ricca di Ryle, commessa per hobby e affezionatissima più di una vera amica alla sua datrice di lavoro.
Ad Atlas (Brandon Sklenar), l’amore povero e sentimentalmente nobilissimo di gioventù, si contrappone come contrappasso quello della passione ricca con Ryle, un neurochirurgo di grido, incorreggibile tombeur des femmes, che troverà nel rapporto morganatico e “bianco” con Lily la giusta remunerazione, fino a inginocchiarsi per la fatidica domanda di rito: “mi vuoi sposare?” E qui la regia è maestra nel restituire le immagini di una giovane Lily borghese al primo anno di college, mentre tira fuori dai guai della mera sopravvivenza Atlas, un bellissimo ragazzo fuggito di casa, innamorandosene come si fa con il primo grande amore, quando entrambi si è alla prima esperienza. Una costante di purezza, di dedizione e protezione maschile che fa da contraltare alla gelosia violenta di chi, in realtà, avrebbe dovuto avere tutti gli strumenti giusti per l’autocontrollo dei gesti e il rispetto sacrale della figura femminile, pur tanto amata.
Nel film, come nel romanzo, si contrappone la metafora di una famiglia realmente felice, come quella della sorella Allysa (una brava e simpatica Jenny Slate) e di suo marito, a un’altra, Lily e Ryle, che solo in apparenza si presenta altrettanto solida e coesa. Perché, come al solito, le ombre che si allungano in famiglia, nel chiuso delle quattro mura domestiche, si accorciano fino ad annullarsi all’esterno, tagliate fuori dal perbenismo e dalla vergogna di cose e situazioni inconfessabili. Ma sarà proprio la forza delle donne, di moglie e figlia di Ryle, a dire che quel patriarcato violento non sarà più parte ingombrante del loro futuro, lasciando che la paternità agisca solo all’esterno, in regime di armonica e consapevole separazione definitiva della coppia originale.
Aggiornato il 08 agosto 2024 alle ore 11:09