Un’amica dalle sempre dichiarate idee politiche differenti dalle mie, e dunque di sinistra, l’altro giorno, forse volendomi dimostrare affetto per il mio appena trascorso compleanno, mi ha regalato il recente libro di Alessandro Giuli Gramsci è vivo. Sillabario per un’egemonia contemporanea edito da Rizzoli, di certo con il sottinteso messaggio: “Vedi? Finalmente anche voi di destra, riconoscete i vostri limiti culturali e apprezzate i nostri intellettuali”. Il libro della Rizzoli è in effetti ben stampato e presenta persino le pagine che si possono voltare agevolmente, anche se per il mio gusto la grafica della copertina poteva essere più accattivante. Comunque, gli ho dato ugualmente una scorsa, rapida, prima di riporlo nella sovraccarica libreria dove svolgerà un’eccellente funzione di “reggilibri” dai brillanti colori.
L’idea che mi sono fatto da molti anni, e che questo volume mi conferma, è piuttosto di una distanza che ormai possiamo misurare in parsec tra chi è cresciuto a destra – o nei dintorni – appartenente alla mia generazione, Anno Domini 1963 nel mio caso, e dunque si è formato culturalmente negli anni Settanta e Ottanta, e chi è nato tra la seconda metà degli anni Settanta. E pertanto ha avuto la propria formazione politica e culturale tra gli Ottanta e i Novanta del secolo scorso. È un abisso temporale enorme, un divario forse incolmabile tra due differenti visioni del mondo. Fortunatamente la mia non coincide con quella del libro su Antonio Gramsci. Anche perché il pensatore sardo, tutt’altro che uno sprovveduto o un ignorante, un comunista vero, aveva fatto attuare il suo piano strategico di “occupazione delle casematte della cultura” avendo capito tutto. E se il comunismo, quello vero, quello serio, avesse applicato il sistema gramsciano su larga scala, oggi quasi sicuramente la bandiera rossa con la falce e il martello sventolerebbe su molte città italiana e forse europee. Il vero “bolscevismo” è quello di Gramsci, il vero comunismo è di Gramsci, più ancora di Palmiro Togliatti e altri “Peppone” del tempo.
Poi, ancora una volta, mi pare di intravedere il solito, triste e annoso sentimento di “colpa”, il “complesso di inferiorità” che questa nuova destra ha da sempre nei confronti della cultura di sinistra, quindi si deve far vedere più democratica dei democratici e politicamente corretta, onde evitare le solite attribuzioni di “neofascismo”, “filofascismo”, “nostalgia”, “reazione” e via discorrendo. E pensare che gli intellettuali progressisti accusano la destra, ora al potere, di impedire ogni forma di espressione che non sia la sua, così come è avvenuto in occasione della Fiera del libro di Francoforte.
Concordo su poche cose scritte da Giuli in questo suo saggio, ma su una ha ragione: Gramsci è vivo. Sì, lo è ancora, perché ha ben operato in una strategia a lungo termine, riuscendo a creare una struttura di controllo della società culturale ancora oggi potentemente in mano alla sinistra anche con un Governo di destra così “dittatoriale” che la favorisce, non avendo il coraggio di compiere realmente i passi – lunghi e lenti – per portare sino in fondo una vera e propria “rivoluzione culturale” propria. D’accordo che non abbiamo nessun Mao Zedong e si fa del proprio meglio, ma continuando di questo passo mi aspetto anche una rivalutazione di quel simpaticone di Pol Pot e non solo di Iosif Stalin.
Questa destra liberale, europeista, atlantista è distante anni luce da quella della Tradizione, dall’Europa delle cattedrali, dalla sua arte e dalla sua cultura plurimillenaria. Nessuno più genialmente marxista di Gramsci, dunque, abile a infiltrarsi in una lotta che ha avuto per armi le case editrici, gli scrittori, gli artisti e gli insegnanti. Un marxismo che non ha voluto distruggere lo Stato ma farlo proprio, essendo questo il modo migliore per conquistare e tenere il potere, non di certo la follia criminale della lotta armata delle Brigate rosse.
Il libro di Giuli, dunque, non è di estrema destra come paventato da alcune critiche di parte avversa, anzi, pur non essendo neanche di sinistra rimane in quel limbo centrale, democraticamente liberal che non si sbilancia troppo, restando tiepido e lasciandosi aperte parecchie porte e vie alternative. Così, se da un lato abbiamo la sclerosi dell’antifascismo militante e ubiquo, dall’altro troviamo l’onnipresente tentativo di sdoganare i pensatori più di sinistra della sinistra, in modo da uscire dal quella “pozzanghera” che per troppo tempo è stata navigata da pensatori come Julius Evola o da scrittori come John Ronald Reuel Tolkien. Basta dunque con il Mito, con la “nostalgia”, con la Tradizione e con le Origini, suvvia. Un bel recupero di sano marxismo culturale applicato non potrà che far bene a questa destra del Ventunesimo secolo, che guarda lacrimevole da un occhio a un Futurismo superato dallo stesso futuro che oggi è divenuto un distopico presente e, dall’altro, ai Cavalieri di Rohan, ma tutti rigorosamente liberali e democratici. Insomma, è un “vogliamoci bene” quasi veltroniano, il che si sa – in questi tempi dove battono i tamburi di guerra sempre più forti, rimbombanti come a Khazad-dum – ci rasserena non poco. Vedremo poi se emergerà anche il Balrog.
Gramsci, pertanto, è vivo e lotta “contro” di noi, direi, celiando ma non troppo, perché lo stiamo facendo entrare dalle porte principali delle mura lungo il tappeto rosso dell’accoglienza e del dialogo in modo da ricomporre l’antica frattura giacobina. La condanna giuliana per il Fascismo è totale. Io invece continuo a sostenere che il Ventennio, seppur abbia prodotto errori e orrori, sia stato l’ultimo grande momento di splendore per le arti e la cultura in Italia, favorendole e lasciandole libere di esprimersi, tutelandole, e non solo quello. Basterebbe questo per salvare ciò che è giusto debba essere salvato. Però Giuli ha capito che a destra, nella sua destra istituzionale almeno, sono pochissimi coloro che hanno a cuore e mostrano interesse per il campo culturale, tant’è vero che i migliori intellettuali (alcuni dei quali donne, sovente migliori degli uomini) sono stati esclusi o comunque ignorati dai centri nevralgici del potere.
Non vorrei neanche un “nuovo umanesimo digitale e comunitario”. Vorrei piuttosto un nuovo e splendente Medio Evo e un nuovo Rinascimento, ma temo che per questo mio desiderio dovrò attendere l’unica rivoluzione che vedrà questo mondo e che sarà quella descritta dal Veggente di Patmos duemila anni or sono. E che molti chiamano Apocalisse.
(*) Gramsci è vivo. Sillabario per un’egemonia contemporanea di Alessandro Giuli, Rizzoli, 160 pagine, 15 euro
Aggiornato il 11 luglio 2024 alle ore 11:36